DA PEP A GASP FINO A SARRI LA RIVOLUZIONE VIVE ANCORA
Arrigo Sacchi non è il proverbiale zio d’America che ha lasciato tutto il patrimonio a un solo fortunato individuo. La sua eredità è stata condivisa da chiunque si avvicini anche marginalmente al ruolo di allenatore. Gli effetti di una rivoluzione non possono che essere più blandi della rivoluzione stessa, dunque ciò che oggi è considerato pratica comune e «scontata» è in realtà il frutto degli insegnamenti del profeta di Fusignano. Concetti come intensità, mentalità, pressing - non solo della «zona» che esisteva ben prima di Sacchi - erano sconosciuti prima, oggi fanno parte del bagaglio tecnico di quasi o tutte le squadre, persino in allenatori «insospettabili» o comunque non così vicini alle teorie sacchiane. Alcune non sono riproducibili - la tattica del fuorigioco applicata alla maniera «Real Madrid-Milan 1989» oggi sarebbe un suicidio, con le nuove regole - ma certi insegnamenti restano vivi.
MENTALITÀ E OSSESSIONE «Andiamo a giocarcela» l’abbiamo sentito dire anche al tecnico dell’ultima in classifica. Ecco, fino a trent’anni fa, la convinzione comune per chi andava in trasferta, era di prenderne il meno possibile. Il primo comandamento di Sacchi è stato invece quello di imporre il proprio gioco, sempre e ovunque. Uno scatto mentale, prima ancora che tattico. «Il suo più grande pregio? Saperti convincere delle sue idee», dice chi lo ha avuto come allenatore. Ed è impossibile non pensare a uno come Mourinho, motivatore se ce n’è uno. A questo si accompagna l’attenzione ai particolari, un’ossessione maniacale e per molti versi logorante che ritroviamo in Pep Guardiola o Antonio Conte.
I NUOVI SACCHIANI Da un punto di vista strettamente calcistico, il sacchiano moderno è Maurizio Sarri, con Marco Giampaolo appena dietro. Mai speculativi, cacciatori del risultato sì ma attraverso il gioco, quasi sempre spettacolari, tatticamente simili: perché i difensori si muovono sempre di «reparto», insieme con il resto della squadra, perché i movimenti di attacco sono mandati a memoria in quanto frutto di allenamenti ossessivi - appunto - cercando la perfezione con la ripetizione. E così, con il gioco di squadra, si esalta il singolo. Lezione di Sacchi, no?
IL PRESSING Ma non serve essere discepoli per applicare il metodo di Sacchi. Preparazione atletica e intensità erano parole senza senso e ora appartengono al linguaggio comune. L’Arrigo sottoponeva i suoi calciatori a visioni intensive delle partite, oggi è normale consegnare ai giocatori una chiavetta usb con i video per studiare gli avversari. Per non parlare di squadra corta, pressing e «uscite». Il Milan studiava i calciatori avversari tecnicamente più deboli per andare ad attaccarli: oggi si chiama «pressing orientato», bloccare le linee di passaggio verso i giocatori più tecnici per far giocare i meno dotati. E lo fanno in tanti. C’è anche chi ha aggiunto qualcosa: il pressing immediato e altissimo di Guardiola o Klopp è diventato un marchio di fabbrica, ed è un’evoluzione di quei movimenti «a sciame» che portavano le squadre di Sacchi ad aggredire in gruppo l’avversario in difficoltà.
AGGRESSIONE La rivoluzione sacchiana ha coinvolto tutti i giocatori in campo, attivandoli sia quando hanno la palla sia quando non ce l’hanno. L’attaccante che sta a guardare non esiste più, il terzino che guarda soltanto il suo avversario diretto senza «scalare» o cercare la posizione giusta, anche quando il pallone è dall’altra parte, appartiene al passato. E anche chi apparentemente non interpreta esattamente i teoremi sacchiani li ha fatti suoi. «Volevo che la squadra difendesse aggredendo e non arretrando, ma avanzando»: lo ha detto Sacchi, ma queste parole potrebbero essere state pronunciate - e lo sono state - da Gian Piero Gasperini. Un allenatore che insegna e applica - magistralmente - la marcatura orientata sull’uomo. Non sarebbe «da Sacchi», ma lo sono l’intensità e e il principio che la ispirano.