La Gazzetta dello Sport

«IO, IMMOBILE A LETTO, HO CAPITO CHE NON VALE PIU’ LA PENA RISCHIARE»

IL CALVARIO DI MAX: «HO SOFFERTO PER 17 GIORNI MI HANNO OPERATO PERCHÉ AVEVO UN LITRO DI SANGUE NEI POLMONI, HO AVUTO PAURA DI NON FARCELA. LA VITA È UN DONO, VA OLTRE LA PASSIONE PER LA MOTO»

- di Paolo Ianieri INVIATO A HOHENSTEIN ERNS. (GER)

iao, sono Max, come va?» risuona la voce all’altro capo del telefono. Un po’ fiacca, affaticata, più lenta del solito. Ma anche così è sempre la sua. Sono tre giorni che Max Biaggi ha lasciato l’ospedale San Camillo di Roma, dove era ricoverato dal 9 giugno per il grave incidente in motard avvenuto sulla pista di Latina. Diciotto giorni in rianimazio­ne, 12 costole e clavicola destra fratturata, due operazioni, ore infinite a fissare il vuoto e a pensare. Dopo la grande paura, lunedì, il regalo per il 46° compleanno, l’uscita dalla rianimazio­ne, poi, 24 ore dopo, il trasferime­nto alla clinica privata Pio XI per la riabilitaz­ione. «La maggior parte del tempo la passo sdraiato, ogni tanto mi alzo… Ecco, la parte terribile è stata questa, bloccato in un letto in rianimazio­ne, non puoi muoverti, piegarti, al massimo alzare appena lo schienale. Per 17 giorni non mi sono mosso, i primi non potevo neppure parlare, soffiavo, per comunicare scrivevo sul telefonino».

Diciassett­e giorni infiniti.

«Pensi e basta. E soffri. Ero imbottito di antidolori­fici, mi avevano messo un CVC (catetere venoso centrale; n.d.r.) giù per la carotide che si scomponeva in 5 canali per iniettare farmaci diversi, mi avevano fatto l’epidurale, come alle donne che partorisco­no, la morfina. Eppure soffrivo come un animale. Ogni minimo colpo di tosse erano lacrime. Se dovessi provare a cercare le parole giuste, sembrerei un masochista patetico, lascio solo immaginare cosa ho passato».

Quel venerdì la MotoGP era al Mugello e nel paddock si sparse la notizia dell’incidente. Come è successo?

«Non ricordo niente, neanche la curva. In tanti anni di gare è la prima volta. La botta è stata fortissima. Ricordo appena che ho cercato di alzarmi ma mi sembrava di soffocare. Chi era lì ha raccontato che imploravo che mi togliesser­o il casco, pensavo fosse il laccio che mi stesse strozzando. Invece erano le spalle collassate che mi bucavano i polmoni».

Pista maledetta, Latina.

«È solo una pista. Ci ho pensato, immobile al buio. I tuoi cari possono venirti a trovare, ma la gran parte del tempo sei lì solo. Sapete com’è la rianimazio­ne? Un letto vicino all’altro, silenzio, penombra. Lì pensi al mondo, mi sono fatto viaggi mentali infiniti… Potevo muovere solo il collo, vedevo il letto di fronte e quelli ai lati. I primi giorni ero bello sedato, ma poi non dormivo più di 3-4 ore. Una notte verso l’una mi sveglio sentendo piangere, attorno al letto vicino al mio un sacco di gente. Dopo un po’, ho visto portare via il letto, il lenzuolo tirato su. Quel poveraccio del mio vicino era morto».

I medici cosa le hanno raccontato?

«Mi hanno sempre detto tutto, anche se all’inizio non mi rendevo conto di niente. I miei e Bianca ( Atzei, la fidanzata;

mi hanno detto che parlavo a vanvera. Il 4° giorno il professor Claudio Ajmone Cat, un fenomeno, è venuto a spiegarmi: “Hai un trauma toracico n.d.r.) maggiore con fratture costali multiple. Le statistich­e dicono che in questi casi su 100 pazienti, 80 non sopravvivo­no”. Immaginate come mi sono sentito. Ancor più quando, tolto il drenaggio, il mattino dopo mi vedo davanti il professor Giuseppe Cardillo in camice azzurro: “Ti avevamo tolto un litro di sangue dai polmoni, si è riformato. Bisogna operare”. Lì ho avuto paura».

Papà Pietro ha detto che è venuto il momento di smettere.

«Lo ha detto anche a me. Non gli ho risposto, ma non posso dargli torto».

La sua fidanzata Bianca ha annullato la tournée…

«Bianca arrivava ogni giorno alle 8 e andava via a mezzanotte, a volte si addormenta­va sulla sedia. Non credevo potesse sopportare tutto questo. È stata la miglior cura, il mio angelo (lo ha scritto anche ieri in un messaggio su Twitter; n.d.r.). I dottori hanno parlato chiaro coi miei genitori e lei, erano angosciati».

I suoi figli, Inés e Leon, quando l’hanno vista cosa hanno detto?

«Era un momento in cui stavo un po’ meglio. Mi chiedevano, “papà perché hai quel tubo, perché non riesci ad alzarti?”. La mia voce li aveva impression­ati, ma ho chiesto io che venissero. Monaco è piccola, avessero saputo dai compagni a scuola chissà cosa si sarebbero immaginati. Vedendomi, si sono tranquilli­zzati».

Il regalo di compleanno è stato lasciare la rianimazio­ne.

«Leon mi sfidava, dicendo che non sarei riuscito ad alzarmi, non so dove ho trovato le forze, ma qualche passo l’ho fatto. Quando mi hanno rimesso giù ero bianco come il lenzuolo».

Il mondo dei motori le ha fatto sentire il suo affetto.

«Ho ricevuto tanti messaggi che devo ancora finire di leggerli. Oltre a chi è venuto a trovarmi, i gli auguri sui social, gli sms… da Jovanotti alla Pausini, la gente è stata fantastica. Marquez mi ha telefonato due volte, pure Gigi Dall’Igna, mi ha scritto Rea, Lorenzo dopo Assen ha preso l’aereo ed è venuto a trovarmi. E un grazie speciale al presidente del Coni, Malagò. Mi ha messo a disposizio­ne Matteo, fisioterap­ista Coni…».

Ha fatto 13, tra costole e clavicola. Ha battuto Rossi che si era fatto male pochi giorni prima facendo motocross.

«Avrei passato volentieri…»

Adesso che lavoro sta facendo

alla Clinica Pio XI? «Fisioterap­iaespander­e la respirator­iagabbia toracica. per Devo lavorare col diaframma, riguadagna­re lo spazio polmonare ridotto. Ma fa male, maledizion­e. E il dolore rallenta tutto. Gli ultimi 3 giorni ho eliminato gli antidolori­fici, sono stufo, ma lavorare col male inibisce tutto. Mi hanno ordinato di prendere qualcosa, se voglio uscire da qui». Quanto pensa possa accadere?

«Lunedì o martedì. Col dottor Cardillo vedremo le lastre, se la pleura si è riattaccat­a potrei anche tentare di volare a Montecarlo. Voglio tornare a casa». La Mahindra, di cui è ambasciato­re, ha annunciato il ritiro. «A me non hanno detto nulla. Però non cambia i piani. L’obiettivo di debuttare nel Mondiale 2018 resta». Si è perso un mese di grandi gare.

«Sono fuori dal mondo, ma ho visto che la Ducati ha fatto una doppietta fantastica, che il Mondiale è apertissim­o. Domenica vorrei vedere la gara». Max, alla fine cosa ha imparato?

«Che la vita è un dono e che solo gli stupidi non imparano le lezioni. Bisogna limitare quello che a volte ti spinge a fare le cose in modo un po’ irrazional­e. Quando sei un profession­ista di alto livello, i contratti, il tuo valore di atleta compensano i rischi che prendi, ma quando questo finisce e resta solo la passione, non ne vale più la pena». Papà Pietro può tirare un sospiro di sollievo. «C

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 ?? GETTY-ANSA ?? In alto Max Biaggi, 46; sopra, con la compagna Bianca Atzei; a destra, lascia l’ospedale; a sinistra, dopo l’incidente
GETTY-ANSA In alto Max Biaggi, 46; sopra, con la compagna Bianca Atzei; a destra, lascia l’ospedale; a sinistra, dopo l’incidente
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