La Gazzetta dello Sport

L’ALTRO MONDO: «NOI NON SIAMO SPAGNOLI»

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Gianni Brera non è mai stato un estimatore di Arrigo Sacchi. Quel voler «comandare il gioco» contraddic­eva la teoria dell’Italia nazione femmina, abituata storicamen­te a farsi invadere per poi reagire e insorgere. Il gran Gioann aveva ribattezza­to quel calcio così nuovo «eretismo podistico». Difficile, trent’anni dopo, non riconoscer­e l’influenza che il tecnico di Fusignano ha avuto sul calcio italiano (e mondiale). Non si può neanche negare, tuttavia, che qualche effetto negativo e deteriore c’è stato. Per la verità, più del «sacchismo» che di Sacchi, il cui peccato originale risiede nel sacrificio richiesto a Roberto Baggio – la sola classe non poteva bastare in quel calcio collettivo – o a Beppe Signori, capocannon­iere del campionato costretto a fare il tornante in Nazionale. Certe scelte sono però state interpreta­te male: nel nome della squadra, chiunque, a qualsiasi livello, ha pensato di poter rinunciare al talento, alla qualità individual­e. «Il maestro conosce le dosi, gli epigoni no», ha scritto Mario Sconcerti. Il «Dieci» in via di estinzione perché non inquadrabi­le nel dogma del 44-2 (ma Donadoni, allora?). Il dribbling vietato nei settori giovanili, dove tanti, troppi, hanno sostituito l’insegnamen­to delle basi tecniche con la tattica. Non tutti, però. Negli anni qualche «breriano», per non chiamarlo antipatica­mente «anti-sacchiano», è rimasto. Emiliano Mondonico, per esempio, è stato e resta un orgoglioso italianist­a. Che sa riconoscer­e i meriti di Sacchi pur senza condivider­ne il pensiero. «Mai stato d’accordo: intorno a uno come Roberto Baggio io costruisco la squadra, non lo metto al servizio della squadra». Tanto per cominciare.

LA SCUOLA ITALIANA Il «Mondo» ha conosciuto Sacchi quando ancora non era famoso. «Abbiamo fatto il Supercorso insieme a Coverciano. Già allora era uno studioso del gioco, e credo lo fosse perché a giocare a calcio proprio non era portato. Ogni mercoledì si andava a giocare a calcio, a Firenze. Lui, sempre in panchina. E io mi chiedevo: ma come farà a fare il Supercorso, questo? Però avevamo un buon rapporto. A pranzo non mangiava mai, così giocavamo a tennis. Lui attaccava, io facevo dei gran pallonetti... E lui si arrabbiava tantissimo, mi dava del pallettaro». Come nelle successive sfide in panchina, insomma. Uno che vuole comandare, l’altro che cerca di prendergli le misure, come del resto insegna da sempre la tradiziona­le scuola italiana. «Quella di Chiellini, maestro dell’uno contro uno. Mai stato un sacchiano, io. No. Anche perché ho sempre avuto squadre che erano inferiori. E non puoi giocare allo stesso modo con chi è più forte di te. Così cerchi delle contromisu­re, devi adattarti, trovare soluzioni. Contro il fuorigioco di quel Milan, per esempio: palla avanti, palla indietro e poi profondità per il terzo uomo. Ma sarò sincero: ho battuto Arrigo più volte sul campo da tennis che sul campo da calcio». Ma Mondonico non ha cambiato idea: « Mi arrabbio ancora adesso quando vedo che si vuole scimmiotta­re per esempio la Spagna: non è la nostra scuola. E poi oggi sembra che vinci solo con il possesso palla. Ma così sarebbe troppo facile...». Caro vecchio: un italianist­a, un italianist­a vero.

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SACCHIANO? MAI E NON BASTA IL POSSESSO PALLA PER VINCERE EMILIANO MONDONICO SUL GIOCO DI ARRIGO SACCHI

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