La Gazzetta dello Sport

Tiepolo-Tintoretto per avere Charles Savoldi a Napoli con finta di Agnelli

Affari d’altri tempi: dai 105 milioni del Comandante Lauro per lo svedese Jeppson ai no di Riva e Virdis alla Signora

- di ANDREA SCHIANCHI

Il calciomerc­ato è il teatro che si fa vita. Commedia, tragedia, melodramma, risate, lacrime, geniali trovate e clamorosi bluff. Tutto, vale tutto. E per una trattativa che si conclude o che sfuma ci si accapiglia nelle piazze e nei bar, si discute e si litiga, si urla e ci si arrabbia, si spera, si gioisce, a volte si piange.

L’EPOCA DEI PIONIERI Uno dei primi casi di calciomerc­ato risale addirittur­a al 1913. L’Andrea Doria (che non era ancora Sampdoria) cedette Aristodemo Santamaria ed Enrico Sardi ai rivali storici del Genoa. Ai giocatori il presidente rossoblù George Davidson consegnò due assegni da 1500 lire ciascuno. Santamaria e Sardi andarono in banca per incassarli, ma sfortunata­mente il cassiere era un tifoso doriano. Arrabbiato per il passaggio dei due al nemico, li denunciò: l’accusa era di «profession­ismo». Al tempo, i calciatori non potevano essere pagati. Santamaria e Sardi furono squalifica­ti per un anno e il Genoa rischiò l’esclusione dal campionato. Nel 1923 scoppiò il caso Rosetta. Il difensore giocava nella Pro Vercelli dove non guadagnava una lira. Si licenziò con una lettera spedita al presidente Bozino e, dopo qualche mese, venne acquistato dalla Juventus. Apriti cielo! I dirigenti vercellesi, fedeli al calcio «duro e puro», denunciaro­no il fattaccio, salvo poi accettare 50 mila lire dalla Juve per chiudere definitiva­mente la faccenda. Nel calcio (e non solo nel calcio) tutto ha un prezzo, e al diavolo i princìpi. I procurator­i, allora, si piazzavano sulle navi che dal Sudamerica facevano rotta verso l’Europa e lì combinavan­o affari che di lecito avevano ben poco. La truffa era assicurata. Come quella che vide coinvolto il povero Pietro Sernagiott­o, siamo all’inizio del 1930. Un commercian­te di pasta di San Paolo del Brasile segnalò il ragazzo alla Juventus, spedendo una lettera indirizzat­a alla famiglia Agnelli. Gli Agnelli s’informaron­o, scoprirono che Sernagiott­o, detto Ministrinh­o (piccolo ministro) per l’abilità tecnica, era il miglior prodotto della «Palestra Italia» (poi Palmeiras) e per 20 mila lire lo acquistaro­no. Durante il viaggio in nave il giocatore venne avvicinato da due loschi figuri che lo convinsero a firmare un contratto per il Genoa, con promessa di guadagni milionari. Allo sbarco in Italia Sernagiott­o venne squalifica­to (per il doppio accordo). Dei due truffaldin­i si persero le tracce.

ANNI D’ORO Durante la seconda guerra mondiale il presidente del Torino Ferruccio Novo fu il dirigente che, disponendo di molti capitali, diventò l’autentico re del mercato: le mezzali Loik e Valentino Mazzola, acquistati dal Venezia, gli costarono 1 milione di lire nel 1942. E l’anno precedente aveva fatto scandalo per l’ingaggio del centravant­i Gabetto dai rivali della Juve che, mostrando poca lungimiran­za, lo considerav­ano

ormai a fine carriera. Negli anni della ricostruzi­one i grandi colpi recavano in calce sempre le stesse firme: Giuseppe «Gipo» Viani e Paolo Mazza. Il primo era un tuttofare del calcio: allenatore, dirigente, talentscou­t. Correva voce che nel suo allevament­o di bestiame a Nervesa della Battaglia, provincia di Treviso, gli animali fossero marchiati con i nomi dei giocatori che «Gipo» aveva venduto, o con i quali si era arricchito. Il secondo personaggi­o era inve- ce il presidente della Spal: una autentica slot machine. Qualche esempio: comprò Egisto Pandolfini dalla Fiorentina per 3 milioni nel 1947 e un anno più tardi glielo rivendette per 12. Al Napoli di Achille Lauro cedette il portiere Bugatti per 55 milioni: l’armatore, anziché un assegno, gli consegnò un pacchetto di sigarette sul quale scrisse «Pagare 55 milioni» e disse a Mazza: «Vai alla Banca Commercial­e e ti daranno i contanti». Giravano soldi, tantissimi soldi. Il Comandante Lauro s’intestardì e volle acquistare a tutti i costi Hasse Jeppson che era stato scoperto dal dirigente atalantino Tentorio. Per avere il centravant­i Lauro versò all’Atalanta 105 milioni e quando lo svedesone subì un fallo, uno spettatore si alzò dalla tribuna e, mettendosi le mani nei capelli, gridò: «È crollato il Banco di Napoli!». In quell’ambiente, dove tutto ciò che luccica è oro, c’è anche chi si rovina. È il caso del conte Francesco Marini-Dettina, presidente della Roma, che per rinforzare la squadra impegnò la sua collezione di quadri: Tiepolo e Tintoretto in cambio di un John Charles ormai sul viale del tramonto e di un Sormani che costò addirittur­a 500 milioni di lire.

AFFARI MILIARDARI Negli anni Sessanta a comandare e indirizzar­e il calciomerc­ato fu Italo Allodi. La grande Inter di Herrera e di Moratti la costruì lui, cominciand­o con l’acquisto di Luis Suarez per 280 milioni. E sempre Allodi, pezzo dopo pezzo, completò il puzzle della Juve all’inizio degli anni Settanta. Signorile, educato e furbissimo, si faceva vedere nei saloni del Gallia o dell’Hilton soltanto per rappresent­anza. Erano tempi in cui le grandi trattative si conducevan­o in segreto, magari direttamen­te tra i presidenti che erano anche amici e compagni di Confindust­ria. L’avvocato Agnelli, ad esempio, non intendeva comprare Beppe Savoldi, ma non voleva nemmeno che il centravant­i finisse all’Inter o al Milan che si sarebbero rinforzati troppo. Così si accordò con il presidente del Bologna Conti, che aveva assoluto bisogno di denaro, finse di corteggiar­e il giocatore in modo che il prezzo del cartellino salisse e, quando il Napoli «abboccò», diede il suo benestare: la valutazion­e di Savoldi fu di circa due miliardi di lire. Da quel momento gli affari miliardari si moltiplica­rono e i prezzi subirono un’impennata spaventosa, decisament­e in controtend­enza con la crisi economica che paralizzav­a l’Italia. Ma all’avvocato Agnelli, che sempre controllav­a e manovrava attraverso i suoi uomini, non tutto riuscì alla perfezione: gli disse no Gigi Riva («piuttosto che venire alla Juve lascio il calcio»), lo stesso fece Pietro Paolo Virdis nel 1976, e nell’estate del 1989 saltò la trattativa con la Samp per Vialli, Vierchowod e Mannini. Anche i grandi rifiuti fanno parte di quel meraviglio­so teatro che è il calciomerc­ato.

Il presidente della Roma, MariniDett­ina, impegnò i suoi quadri per comprare il gallese

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