La Gazzetta dello Sport

PERCHE’ ANCH’IO RINGRAZIO SACCHI

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Andrea Carnevale, attaccante di quel Napoli che fu grande rivale dei rossoneri, interviene sulla svolta impressa trent’anni fa da Arrigo Sacchi e dal suo Milan al nostro calcio.

Leggendo sulla Gazzetta che sono passati trent’anni dalla «rivoluzion­e» targata Sacchi, non mi sono sentito vecchio piuttosto ho pensato che in realtà Arrigo ha allungato la carriera anche a me che sono stato suo fiero avversario. Chi ha giocato contro quel Milan, non può che ringraziar­e Sacchi almeno quanto chi ha giocato per lui. Non sono frasi di circostanz­a, ma il suo calcio costringev­a i rivali a pensare di più e a pensare in fretta, ma soprattutt­o risparmiav­a a noi attaccanti un mara di botte. Io ero abituato alla marcatura di Vierchowod che non lasciava mezzo metro di spazio e magari ti colpiva duro, così trovarsi di fronte una difesa a zona fu una piacevole sorpresa anche se sono stato costretto, come tutti, a cambiare modo di muovermi in campo per evitare di finire continuame­nte in fuorigioco.

Le partite contro il suo Milan venivano preparate in maniera del tutto diversa dalle altre, anche per il valore indiscusso dei giocatori di quella squadra che aveva un fuoriclass­e in panchina ma ne aveva anche tanti in campo. Maradona, ad esempio, viveva quelle gare con il gusto unico della sfida a qualcosa di nuovo e Bianchi quando dovevamo affrontare i rossoneri ci chiedeva innanzitut­to di sacrificar­ci molto in fase difensiva. Diceva che l’unica maniera per vincere era inseguire i loro terzini al limite della metà campo e poi provare a sfruttare lo spazio che lasciavano alle spalle. Il gol di testa con il quale Diego da fuori area superò Galli in una di quelle grandi sfide al San Paolo non fu solo la prodezza di un genio, ma un’azione che avevamo provato per chiamare fuori la difesa del Milan e poi infilarla. Certo, le punte rossonere facevano meno fatica di noi e toccavano più palloni perché il gioco di Sacchi le coinvolgev­a molto. Mi sarebbe piaciuto essere parte di quegli schemi, muovermi secondo dei sincronism­i provati in maniera ossessiva. Ecco credo che proprio per questo il Milan di Sacchi abbia cambiato il nostro calcio vincendo paradossal­mente più in Europa che da noi: in Italia tenere per un intero campionato lo stesso ritmo che Sacchi chiedeva alle sue squadre era difficile, ma in Coppa dei Campioni l’intensità si alzava sempre ai massimi livelli e vedere quel Milan era uno spettacolo. Ti trovavi subito l’avversario addosso perché la linea difensiva era sempre alta e il pressing asfissiant­e. Ricordo che si faceva fatica a ragionare a metà campo mentre fin lì eravamo abituati, specie noi attaccanti, a poter anche portare palla e sfidare i difensori nell’uno contro uno. Spesso contro quel Milan a marcarmi c’era in prima battuta un centrocamp­ista e soltanto dopo uno dei componenti della linea difensiva. Ricordo di aver subito più colpi da Rijkaard che non da Baresi. Quando riuscivamo a ripartire spesso ci fermavano con quello che poi è stato definito il «fallo tattico», a modo suo un’altra innovazion­e.

Comunque, Sacchi era davvero trent’anni avanti e lo si capisce ancora meglio adesso che i suoi concetti sono rimasti attuali. Ad esempio, possesso palla e movimenti schematizz­ati da parte degli attaccanti restano armi vincenti, a patto ovviamente di avere poi gente di qualità che sappia fare le scelte giuste al momento opportuno. In questo, il Napoli di Sarri oggi somiglia molto a quel Milan di Sacchi perché si dispone in pratica nella metà campo avversaria con quasi tutti gli effettivi e rischia solo se subisce un contropied­e improvviso. È un po’ l’eterna lotta tra organizzaz­ione e individual­ità. Sacchi con il suo Milan era riuscito a coniugare le due cose. Per questo motivo ha fatto epoca ed ha vinto tanto. Non tutto, però, perché di fronte ha trovato gente come Maradona, Careca e Carnevale.

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