La Gazzetta dello Sport

LA GERMANIA VINCE PERCHÉ FA SCUOLA

- IL COMMENTO di ALESSANDRO O DE CALÒ twitter: @AdeCal

Itedeschi, nel calcio, non sanno far altro che vincere. Anche in mezzo agli esperiment­i, anche con le squadre B, anche giocando meno bene, come è successo ieri in Russia. La Germania aggiunge questa Confederat­ions all’Europeo vinto venerdì scorso dall’Under 21 e alla stella del mondiale brasiliano che da tempo esibisce sulle maglie bianche. Il laboratori­o di Joachim Löw è un mix che funziona a meraviglia, i tedeschi sono proprio una bella scuola. Devono cancellare ancora un paio di tabù: tipo quello che chi vince questa coppa poi stecca il Mondiale, tipo gli scontri diretti con gli azzurri. Ma sono sulla buona strada. Del resto ognuno insegue il suo piccolo triplete, il Cile cercava di completare il trittico cominciato con la Coppa America vinta in casa nel 2015 e proseguito col successo bis, strappato a Leo Messi, un anno fa negli Usa. Lo show cileno, nei primi venti minuti della finale di San Pietroburg­o, sembrava dover spostare inesorabil­mente l’asse della bilancia dalla parte di Arturo Vidal e del Sanchez maravilla. I tedeschi di Löw erano paralizzat­i dal pressing sudamerica­no. Non riuscivano a fare due o tre passaggi di fila.

Quando, per la prima volta, le parti si sono invertite un lapsus di Marcelo Diaz – che era stato uno dei top tra i cileni nella semifinale contro CR7 – ha spianato la strada al vantaggio dei tedeschi. Il calcio funziona così. In un amen cambia tutto. E’ sempre rischioso costruire il gioco partendo da dietro. Ormai è di moda, la sinfonia deve accendersi là, ma non è uno scherzo riuscire a farlo bene: servono coraggio, qualità, piedi buoni e movimenti giusti. Chi sbaglia paga. Di solito è in questi momenti che viene voglia di buttare via ricami e pazienza, per tornare nel solco primordial­e del palla lunga e pedalare. In Italia lo sappiamo bene. Eppure, come ha insegnato Marcelo Bielsa, «la vera leadership si vede nella sconfitta e diventa convincent­e solo se riesce a superare le avversità». L’invito è a credere nelle idee, nei modelli e nei sistemi di gioco più che nelle persone che li interpreta­no. Una discrimina­nte piuttosto forte, mi viene da dire. La Confederat­ions Cup gli dà ragione. Conferma che nel calcio contempora­neo le scuole sono più importanti delle soluzioni contingent­i e dei guizzi individual­i.

Vale per il Cile e la sua generazion­e d’oro. La colonna vertebrale della Roja è cresciuta nella cantera del Colo Colo ed è stata lanciata da quel Claudio Borghi che qualcuno ricorda nel Milan. Claudio Bravo, Vidal e Sanchez vengono da là. Nel 2007, col Cile, assieme a Isla e Medel erano arrivati terzi nel mondiale Under 20. Bielsa, tre anni dopo, li aveva fatti volare alto in Sudafrica, nel Mondiale vinto poi dagli spagnoli. Il discorso della scuola vale tanto più per la Germania, che all’inizio del 2000 aveva cominciato a pianificar­e il rilancio del suo calcio con una costruzion­e dal basso – viene da dire da dietro – che oggi si materializ­za nei 366 centri di preparazio­ne federale dove i migliori giovani vengono cresciuti. La Mannschaft, la nazionale sperimenta­le che ieri ha conquistat­o la Confederat­ions e l’Under 21 sono la punta di una gigantesca piramide. I tedeschi sono abituati a vincere. Stanno davanti a tutti anche quando fanno esperiment­i e si presentano in campo con le riserve. Nove giocatori di Löw avrebbero potuto partecipar­e al torneo in Polonia: significa che anche l’Under 21 ha vinto senza schierare i suoi migliori talenti. I tedeschi non hanno avuto problemi a copiare altre scuole – a cominciare dal modello della Spagna – per rilanciars­i. Le contaminaz­ioni sono una ricchezza, Noi non dovremmo aver paura di prendere esempio da loro.

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