LA GERMANIA VINCE PERCHÉ FA SCUOLA
Itedeschi, nel calcio, non sanno far altro che vincere. Anche in mezzo agli esperimenti, anche con le squadre B, anche giocando meno bene, come è successo ieri in Russia. La Germania aggiunge questa Confederations all’Europeo vinto venerdì scorso dall’Under 21 e alla stella del mondiale brasiliano che da tempo esibisce sulle maglie bianche. Il laboratorio di Joachim Löw è un mix che funziona a meraviglia, i tedeschi sono proprio una bella scuola. Devono cancellare ancora un paio di tabù: tipo quello che chi vince questa coppa poi stecca il Mondiale, tipo gli scontri diretti con gli azzurri. Ma sono sulla buona strada. Del resto ognuno insegue il suo piccolo triplete, il Cile cercava di completare il trittico cominciato con la Coppa America vinta in casa nel 2015 e proseguito col successo bis, strappato a Leo Messi, un anno fa negli Usa. Lo show cileno, nei primi venti minuti della finale di San Pietroburgo, sembrava dover spostare inesorabilmente l’asse della bilancia dalla parte di Arturo Vidal e del Sanchez maravilla. I tedeschi di Löw erano paralizzati dal pressing sudamericano. Non riuscivano a fare due o tre passaggi di fila.
Quando, per la prima volta, le parti si sono invertite un lapsus di Marcelo Diaz – che era stato uno dei top tra i cileni nella semifinale contro CR7 – ha spianato la strada al vantaggio dei tedeschi. Il calcio funziona così. In un amen cambia tutto. E’ sempre rischioso costruire il gioco partendo da dietro. Ormai è di moda, la sinfonia deve accendersi là, ma non è uno scherzo riuscire a farlo bene: servono coraggio, qualità, piedi buoni e movimenti giusti. Chi sbaglia paga. Di solito è in questi momenti che viene voglia di buttare via ricami e pazienza, per tornare nel solco primordiale del palla lunga e pedalare. In Italia lo sappiamo bene. Eppure, come ha insegnato Marcelo Bielsa, «la vera leadership si vede nella sconfitta e diventa convincente solo se riesce a superare le avversità». L’invito è a credere nelle idee, nei modelli e nei sistemi di gioco più che nelle persone che li interpretano. Una discriminante piuttosto forte, mi viene da dire. La Confederations Cup gli dà ragione. Conferma che nel calcio contemporaneo le scuole sono più importanti delle soluzioni contingenti e dei guizzi individuali.
Vale per il Cile e la sua generazione d’oro. La colonna vertebrale della Roja è cresciuta nella cantera del Colo Colo ed è stata lanciata da quel Claudio Borghi che qualcuno ricorda nel Milan. Claudio Bravo, Vidal e Sanchez vengono da là. Nel 2007, col Cile, assieme a Isla e Medel erano arrivati terzi nel mondiale Under 20. Bielsa, tre anni dopo, li aveva fatti volare alto in Sudafrica, nel Mondiale vinto poi dagli spagnoli. Il discorso della scuola vale tanto più per la Germania, che all’inizio del 2000 aveva cominciato a pianificare il rilancio del suo calcio con una costruzione dal basso – viene da dire da dietro – che oggi si materializza nei 366 centri di preparazione federale dove i migliori giovani vengono cresciuti. La Mannschaft, la nazionale sperimentale che ieri ha conquistato la Confederations e l’Under 21 sono la punta di una gigantesca piramide. I tedeschi sono abituati a vincere. Stanno davanti a tutti anche quando fanno esperimenti e si presentano in campo con le riserve. Nove giocatori di Löw avrebbero potuto partecipare al torneo in Polonia: significa che anche l’Under 21 ha vinto senza schierare i suoi migliori talenti. I tedeschi non hanno avuto problemi a copiare altre scuole – a cominciare dal modello della Spagna – per rilanciarsi. Le contaminazioni sono una ricchezza, Noi non dovremmo aver paura di prendere esempio da loro.