Le certezze di Cilic piegano Querrey «Non ho più paura»
Croato in finale a Londra all’11a partecipazione e 16 anni dopo il trionfo di Ivanisevic: «Con Roger sarà dura, ma posso metterlo in difficoltà»
Una vendetta contro il destino. Quel bravo ragazzo di Cilic non l’ha mai dimenticato, il pomeriggio della vergogna. Era proprio qui, a Wimbledon, edizione 2013, e stava aspettando di giocare il secondo turno contro De Scheppers, quando la federazione internazionale gli comunicò che era stato trovato positivo al torneo di Monaco. Perciò quel giorno non ci sarebbe stata nessuna partita: ritiro tattico per un presunto infortunio a un ginocchio, e poi tre mesi di stop.
RISARCIMENTO Una sostanza vietata in una zolletta di glucosio acquistata dalla madre senza leggere le avvertenze: Marin ha vissuto la squalifica come un’ingiustizia, da innocente. Ma il breve tempo lontano dal tennis lo ha reso più forte, lo ha maturato, fino al successo agli Us Open 2014. E adesso si regala un altro passo in avanti, la finale a Church Road, ottenuta all’11a partecipazione, un record, il risarcimento più bello nel luogo del dolore più grande. Il gigante buono di Medjugorje che da adolescente si trasferì a Zagabria non è una meteora, quel lampo improvviso a New York non fu il frutto del caso e per lui dimostrarlo a sé e al mondo vale quanto una vittoria. Negli ultimi 14 anni, su questi prati, hanno trionfato solo i Fab Four, e chissà che non sia arrivato il momento della rivo- luzione: «Vincere in America mi ha aperto un mondo, da allora so di avere un’opportunità simile ogni volta che scendo in campo e l’avrò per tutta la carriera. Questo è un sogno che si realizza, ma nella mia mente c’era consapevolezza, essere tra i favoriti non mi spaventa più».
IL LEGAME Nella battaglia dei servizi contro Querrey, Cilic sfonda con più incisività, mettendo 25 ace contro i 13 del rivale, cedendo solo 11 punti con la prima e poi scrollandosi di dosso l’americano grazie alla maggior solidità in risposta e negli scambi da fondo, riportando il suo paese in finale 16 anni dopo Ivanisevic, quello che fu e rimane uno dei più grandi successi sportivi di sempre della giovane nazione croata. Goran, d’altronde, è l’uomo che gli ha cambiato la carriera fin da ragazzino, convincendolo a trasferirsi in Italia da Bob Brett a 15 anni (soggiorno di cui resta la fede milanista) e poi prendendolo sotto la sua ala di coach praticamente debuttante proprio dopo il caso doping. Gli ha cambiato il movimento del servizio e del dritto (ora è meno ampio), ma soprattutto lo ha convinto che avere quel fisico non serviva a nulla senza essere più aggressivo in campo. Insomma, strano a dirsi per uno come lui che veniva soprannominato Cavallo Pazzo, gli ha dato solidità mentale e anche oggi che lo guida Bjorkman, Marin è soprattutto il giocatore plasmato da Ivanisevic. La mano dell’allenatore svedese si vede comunque nella più frequente ricerca della rete e nella gestione più equilibrata dei momenti difficili: «Jonas mi ha insegnato a uscire più forte dalle sconfitte».
LA SPERANZA Certo, adesso la speranza di ereditare la gloria di Goran passa dall’avversario più difficile, Federer, il signore di questi giardini. Marin è sotto 6-1 nei precedenti, ma l’unica vittoria arrivò proprio a New York sulla strada degli Us Open 2014 e l’anno scorso, qui, nei quarti, ebbe tre match point prima di cedere al Divino: «Roger è a casa sua, questo è il posto dove si sente meglio e dove gioca meglio. Avrò davanti una montagna molto alta da scalare, ma sono pronto e so che con le mie qualità potrò metterlo in difficoltà». Quando Ivanisevic alzò la Coppa di Wimbledon, il dodicenne Cilic era a un camp di tennis estivo: «In Croazia, se lo chiedete alla gente, tutti ricordano ancora dove si trovavano quel giorno». Magari,domenica sera, la memoria andrà rinfrescata.