Se il pallone perde i pezzi
Dal blitz di San Siro all’ennesimo tonfo Messina si dispera
In un decennio soltanto promesse I giocatori contro Gravina, 1100 tifosi abbonati al buio
Il Messina è morto un attimo dopo aver rinunciato all’ idea di iscriversi al campionato. Morto, perché di questa società non rimarrà più nulla: 3 milioni di debiti sono un fardello troppo pesante. Scenari futuri? Procedura fallimentare, contestualmente si proverà a individuare un gruppo imprenditoriale che possa fondare una nuova società per sfruttare la norma federale che prevede la partecipazione in Serie D, anche in soprannumero, di un’eventuale nuova compagine che rappresenti la città. Qualcosa, in questa direzione, inizia ad agitarsi sullo sfondo, ma sarà fondamentale l’apporto dell’amministrazione comunale.
RABBIA Gli ormai ex calciatori del Messina, intanto, sono sul piede di guerra: rivendicano gli stipendi non percepiti e accusano il presidente della Lega Gravina: «Ha fatto da garante a Proto e deve assumersi le sue responsabilità». L’ira del popolo giallorosso non si arresta. In 1100 avevano già sottoscritto l’abbonamento. Senza che vi fosse una squadra, un allenatore, uno straccio di certezza. Una tifoseria che ha investito fiducia e soldi alla cieca, nonostante fosse reduce da un decennio scandito da gestioni ballerine e acrobazie di ogni sorta. Dall’ombra del calcioscommes- se, da una passione calpestata. Le promesse, poi: quelle non sono mai mancate. Lo Monaco aveva assicurato di riportare il Messina a San Siro, di far rivivere l’ebrezza del blitz firmato nel 2004 da Giampà e Zampagna contro il Milan. Quel Messina visse un triennio in massima serie: 7° alla prima stagione, poi due retrocessioni consecutive, di cui una rimediata con la riammissione post-Calciopoli, prologo della discesa definitiva verso gli inferi. Un anno di transizione in B, prima dell’addio della famiglia Franza: il club venne rilevato all’asta da Alfredo Di Lullo. Ripartì dalla Serie D. Era il 2009. Per ritrovare il professionismo dovette attendere Pietro Lo Monaco, dopo una serie di gestioni sostanzialmente disastrose. Poi il passaggio di consegne con Natale Stracuzzi, il presidente pastore evangelico. Infine Proto, che aveva garantito la restaurazione della «normalità». Propositi inceneriti sull’altare di una realtà divenuta incontrollabile. E oggi destinata a essere seppellita per l’ennesima volta, nell’indifferenza di una città che non crede più nel calcio. Lo sport che da queste parti era ragione di vita, segno di appartenenza. Un collante. Una religione.