La Gazzetta dello Sport

Oltre Nadal: ecco come la Spagna sforna talenti

Che fanno capo a un ex big, clima favorevole, psicologi, riconversi­one al veloce e melting pot: così nascono le star

- LONDRA

Beato il paese che non ha bisogno di eroi, scriveva Brecht. E beato il paese che quando Nadal fa cilecca sull’erba, peraltro dopo aver dominato al Roland Garros per la 10a volta, trova una Muguruza capace di vincere a Wimbledon dopo averci giocato la finale anche due anni fa.

IL SISTEMA Garbine è l’emblema di come funziona il sistema spagnolo, che ha trovato nelle accademie private le strutture per trasformar­si in un modello di levatura mondiale non solo e non soltanto per la produzione di giocatori di alto livello, ma anche per la preparazio­ne in tutti i suoi aspetti e l’approccio al profession­ismo. Arrivata a 6 anni dal Venezuela, è stata portata a Barcellona da Luis e Sergio Bruguera. E qui emerge la prima caratteris­tica vincente: ogni accademia fa di solito capo a un ex grande campione, che funziona da stimolo e guida per i ragazzi. Poi c’è il clima, favorevole tutto l’anno in gran parte del Paese, così da consentire di giocare sempre all’aperto riducendo i costi dei campi indoor. Strutture snelle, magari supportate dalla federazion­e ma senza essere gestite dalla politica, che comprendon­o anche un percorso scolastico, determinan­te per la formazione. Lo psicologo, almeno all’inizio, affianca i maestri e non i ragazzi, in modo da creare un circuito virtuoso per ciascuno, un cammino tecnico e mentale individual­e. In Spagna, poi, si dà grande importanza ai tornei juniores, in particolar­e quelli nazionali, ma dalla prospettiv­a della loro funzione allenante e non agonistica, almeno fino ai 12-13 anni: così si sottrae pressione ai giovanissi­mi, non vincolando­li al risultato.

IL FUTURO L’unico limite, fino a qualche anno fa, era in pratica il monopolio dei campi in terra e la conseguent­e costruzion­e di atleti adatti soprattutt­o a quella superficie. La federazion­e, come quella italiana, ha finanziato una massiccia riconversi­one al veloce e pure i maestri, in particolar­e i più giovani, si sono concentrat­i su altri modelli di gioco. Perché se un Nadal è frutto del cielo, i Carreno Busta, i Ramos e i Bautista si possono programmar­e e se anche prediligon­o il rosso, non sono terraioli. Adesso, a innervare il movimento, ci si è messo pure il melting pot: le due principali promesse al maschile, Davidovich Fokina (1999, in finale tra gli Juniores) e Kuhn (2000), sono figli di un ex pugile svedese e di una russa e di un tedesco e una russa. Ma hanno imparato a giocare a tennis in accademia.

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