IL MUSEO E’ LA MIA IMPRESA PIU’ BELLA
In questi mesi estivi passo spesso nei vari satelliti del museo della montagna che ho creato e la cui conduzione ora è affidata a mia figlia Magdalena. Penso che, più delle scalate sugli Ottomila o delle avventure nelle zone inospitali e selvagge del Pianeta come l’Antartide o i grandi deserti, sia questo lavoro culturale la cosa migliore che ho realizzato nella mia vita. Scalate e avventure le ho fatte per me. Con i musei ho cercato di lasciare qualcosa per gli altri. Ma l’idea non è nata esclusivamente nella mia testa. Sono parecchie le menti che hanno contribuito a farla evolvere e a far sì che venisse realizzata.
Fra queste, la mente più brillante era quella del professor Luigi Zanzi. Ho avuto l’occasione di ricordare la sua figura domenica (ieri, n.d.r.) a Macugnaga, dove ho ricevuto l’Insegna di San Bernardo. Lì, ai piedi del Monte Rosa, proprio grazie al professor Zanzi da più di 30 anni si svolge la fiera che porta il nome del santo montanaro vissuto 1000 anni fa.
Professore universitario e uomo dotato di vastissima cultura, Zanzi è stato anche uno storico e un vero filosofo della montagna. Gran camminatore, l’ha frequentata con passione, affrontando anche lunghi viaggi su catene lontane, quasi sempre accompagnato da Claudio Schranz, famosa guida alpina di Macugnaga.
Un viaggio lo abbiamo anche fatto insieme, io e Zanzi, anni fa: il giro del Monte Rosa, la «sua» montagna. Si era appassionato ai Walser e aveva studiato a fondo e documentato in libri importanti, scritti anche insieme all’amico Enrico Rizzi, la cultura di questa popolazione di origine germanica che nel Trecento si spostò a Sud della seconda montagna più alta delle Alpi, dove trovò le terre coltivabili che cercava.
Nelle frazioni di Macugnaga fortunatamente è ancora possibile ritrovarsi immersi nelle tracce di questa cultura, come nel magnifico Dorf, con la chiesetta che compie ben 700 anni.
In tutte le zone europee dove era viva la cultura della montagna abbiamo lo stesso problema: lo spopolamento. Sono ritornato due giorni fa dal Caucaso, in Georgia: mi sono accorto che anche lì la cultura della transumanza si riduce velocemente perché sia i luoghi dove la gente passa gli inverni e ancora di più lo spazio largo dei pascoli estivi restano abbandonati a se stessi.