Chessa, il volo più alto Addio al maestro di sport
Storico allenatore è morto a Pordenone a 70 anni. Ha lanciato la Trost portandola alla gloria dei 2 metri
Era stato bello rivederlo a inizio mese, agli Assoluti di Trieste. Immerso nel suo mondo, immerso nell’atletica. Alla quale tanto ha dato e dalla quale tanto ha ricevuto. Gianfranco Chessa, nei meandri dello stadio Grezar, sotto il baffo, ragionava di misure e di rincorse, di stacchi e di asticelle. E di cure sperimentali. Visibilmente affaticato, ma con ancora tanta voglia di lottare. Amici ed ex allievi, in suo onore, avevano organizzato anche una cena. Poi, l’indomani, eccolo al solito posto, a bordo pedana, a seguire l’ultima creatura, quella Desiree Rossit portata in fretta sino alla finale dell’Olimpiade di Rio. Quando già il tumore lo minava e la forzata rinuncia al viaggio in Brasile gli pesò moltissimo.
Chessa è morto venerdì notte all’ospedale di Pordenone, dove era ricoverato da alcuni giorni. Nelle ultime settimane la situazione era precipitata. In febbraio aveva com- piuto 70 anni, divisi tra Sardegna (era nato a Sassari), Liguria (a Genova, a fine Anni 70, aveva cominciato la carriera di tecnico seguendo anche l’azzurro Gianpiero Palomba) e Friuli (per amore si era trasferito a Cordenons). Qui, tra i tanti giovani lanciati, dopo Stefania Cadamuro, l’atleta più significativa: Alessia Trost, iridata allievi e junior, talento plasmato fino ai due metri. Poi la rottura dell’estate scorsa quando lei, pur riconoscente, aveva deciso di spostarsi dai Tamberi ad Ancona. Le polemiche non fanno testo, perché solo conseguenza dell’affetto. Chessa, che lascia la moglie Gabriella e le figlie Giulia (quattrocentista come mamma) e Laura, ha frequentato il campo fino all’ultimo. E così sarà ricordato.