NESSUN ESONERO IL VENTO IN SERIE A STA CAMBIANDO
odiamoci questa stranezza. In Serie A non c’è stato ancora un licenziamento, mentre in Germania, Spagna e Inghilterra gli allenatori hanno già pagato la frenesia dei loro dirigenti. L’esonero di Carlo Ancelotti è l’emblema del disagio all’interno del Bayern e di una chiara inversione di tendenza. Lì dove sono sempre stati i maestri della programmazione ora sono diventati precipitosi, mentre in Italia i mangia-allenatori di un tempo all’improvviso hanno messo giudizio al punto da apparire addirittura virtuosi. Da quando la Aè a 20 squadre è la prima volta senza avvicendamenti dopo 7 giornate. Per trovare un precedente ancor più positivo si deve tornare indietro al 1998, quando la prima panchina a saltare fu quella di Gigi Simoni all’Inter dopo 11 giornate.
Ma guardiamo all’oggi, se non proprio al futuro. Detto che il Milan ha dato fiducia a Vincenzo Montella un po’ per convinzione è un po’ perché in giro non ci sono candidati irresistibili (Ancelotti fa storia a sé: è in stand-by...), c’è tutto il resto a confermare questa tendenza. Domenica erano in tanti a scommettere sull’«arrivederci e grazie» a Juric. Invece Preziosi ha resistito alla tentazione: così come altri suoi colleghi sulle spine per una classifica avara di punti.
Vogliamo essere buonisti? Diciamo che fa ancora effetto il lieto fine della favola del Crotone e di Davide Nicola dello scorso torneo. In quel caso il coraggio e la coerenza hanno viaggiato a braccetto con risultati più che sorprendenti. Così il neo-promosso Benevento (ancora a zero punti) si tiene stretto Marco Baroni, come a Verona Pecchia sta superando le tempestose prime giornate grazie all’appoggio del presidente Setti. È vero che il grande equilibrio in fondo alla classifica coinvolge ben otto squadre e tutti (giustamente) ritengono di avere intatte le loro possibilità di salvezza. In questi frangenti, però, emergono considerazioni altrettanto rilevanti e riguardano la qualità dei nostri tecnici. I fatti dicono che la scuola italiana ha successo a tutte le latitudini, i nostri grandi guru in attività siedono sulle panchine più importanti del pianeta. Negli anni le capacità gestionali dei nostri driver hanno meritato unanimi consensi ed è fatale che siano andati a lavorare all’estero i più conosciuti ed esperti. In un campionato che vede al comando lo spettacolare Napoli di Sarri, merita evidentemente altrettanta attenzione il pragmatico Allegri, non a caso pluri-scudettato. Mentre Spalletti cerca la laurea all’Inter, bisogna andare nella Capitale per trovare le due più grandi novità: il dogmatico Di Francesco nella Roma e l’efficace Simone Inzaghi nella Lazio.
In ogni caso, al di fuori dei 20 eletti, è difficile individuare nomi di vero spessore. Quando il turnover era più frenetico, capitava che ci fossero a spasso tecnici importanti o (comunque) in cerca di rilancio. Ora come ora, invece, la lista dei pretendenti è corta. E senza mezze misure: o professionisti di lunghissimo corso (Reja) o mister di mezza età un po’ arrugginiti (Colantuono e Iachini). Ci sono, poi, gli emergenti a metà del guado. Massimo Oddo, ad esempio, è rimasto ai box dopo la promozione col Pescara, mentre dell’enfant prodige De Zerbi si sono in apparenza perse le tracce.
Insomma, se nella A si fatica a cambiare, un po’ è anche per mancanza di sostituti all’altezza delle aspettative. Chiamatela pure crisi di vocazioni. Nel calcio il vento cambia in fretta e i sorrisi di ora possono svanire in poche settimane e viceversa. L’augurio è che cresca in fretta una nuova generazione di leader della panchina. Un po’ di pazienza: arriverà.