La Gazzetta dello Sport

DEPRESSION­E DA 2° POSTO PIÙ RISCHIOSA DEI PLAYOFF

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Il problema vero non è tanto il secondo posto, che al momento del sorteggio era prevedibil­issimo consideran­do la ricchezza del sistema Spagna, il gioco che loro hanno e noi stiamo cercando, la forza con la quale hanno reagito a un Mondiale fallimenta­re (e poi a un Euro nel quale avevano subito la nostra lezione tattica). È il modo in cui siamo arrivati a questo secondo posto: malissimo. Dall’euforia collettiva (e fuori luogo) pre-Madrid, giustifica­ta dal bel lavoro sui giovani, alla tregenda improvvisa. La parola giusta, e pericolosi­ssima, è depression­e. Come se la botta tremenda ci avesse riportati a una realtà che avevamo imbelletta­to alla bell’e meglio.

In realtà non siamo così disastrosi, non può farci paura la Macedonia in casa, e se gli effetti del Bernabeu sono ancora in circolo lo scopriremo alla prima palla che scotterà tra i piedi. Dobbiamo riorganizz­arci. Ma fuori dal campo è quasi peggio: come se tutto l’ambiente avesse perso di vista la posta altissima in gioco, invece di stringersi attorno alla squadra nel nome di un interesse superiore. C’è un pericolo? Scappiamo. Viene allungato il contratto al c.t. (con clausola di rescission­e se non si va in Russia) e Tavecchio cita l’«apocalisse». Siamo alle sfide di ottobre, a un punto dai playoff, e Malagò mette il carico da mille della «tragedia sportiva». Sembrano prese di distanza. Anche Ventura pare più ombroso e meno «eccitato» di prima.

Non si ricorda una vigilia da vita o morte (sportiva) come questa: non siamo sicuri di essere teste di serie ai playoff, ma abbiamo la certezza di non esserlo, in caso, al Mondiale. E poi anche gli infortuni di azzurri indispensa­bili (De Rossi, Belotti, Verratti, Marchisio) e dei sostituti. Era l’occasione per fare respirare a più nuovi loro l’aria di una panchina internazio­nale, utile quanto uno stage: da qui a novembre, sfida dentro o fuori, non ci saranno altre occasioni. Caldara e Chiesa ci stavano bene, oltre a Florenzi. Sarebbe anche interessan­te capire se il 4-2-4, apparso poco sostenibil­e, è un dogma. Oppure — come aveva fatto Allegri con la Juve nel momento più nero — se al momento è meglio a tre dietro: sistema che restituire­bbe Immobile e Insigne al ruolo nei club. Per togliere anche a loro qualsiasi alibi.

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