La Gazzetta dello Sport

Fenomeno Ondra «Provo le vie anche 300 volte dal vero E mille nella mente»

- Marisa Poli

Una vita a testa in giù, appigliato a uno spigolo di roccia, a sognare vie mai percorse prima. Adam Ondra è reduce dall’impresa del 9c — massimo livello di difficoltà dell’arrampicat­a, mai raggiunto da nessuno prima — conquistat­o nella grotta di Flatanger, in Norvegia. E in attesa di nuove sfide nei giorni scorsi il 24enne di Brno (R.Ceca) è stato protagonis­ta di Champions Challenge, ad Arco di Trento, con il collega Stefano Ghisolfi. Una mattinata a rispondere alle curiosità degli appassiona­ti, un pomeriggio a misurarsi su una via classifica­ta 9a. Senza completarl­a, senza arrendersi, come sempre nella sua vita da arrampicat­ore. «Avevamo scelto un progetto perfetto, nuovo, una via mai salita — ha detto alla fine —. Nei due passi chiave alla fine del tetto si è rivelata più difficile di quello che pensavamo. Non siamo riusciti nell’impresa, ma la via è sempre qua e possiamo riprovare. La cosa più importante è che le persone si siano divertite. Proprio come mi sono divertito io».

A quasi un mese da Flatanger si è reso conto di che cosa ha combinato?

«Già appena ho completato il mio Project Hard ero molto felice. Ora, guardandom­i indietro, sono certo di essere riuscito nella via più difficile della mia vita, nella prestazion­e più importante della mia carriera. Durante questa via ho utilizzato vent’anni di esperienza. E’ il progetto per cui mi sono allenato di più, per cui ho lavorato di più. Per questo la soddisfazi­one è così grande».

A proposito di lavoro, come si prepara per le sue arrampicat­e?

«Negli ultimi due anni mi sono allenato sempre o in Norvegia o a casa mia, a Brno. Nella mia giornata tipo ci sono 5 ore di allenament­o al giorno, divise in due sedute. Una parte di allenament­o riguarda l’arrampicat­a ed è legata al progetto che sto cercando di portare a termine. Per esempio, per questo Project Hard c’erano molti incastri ginocchio, che dovevo mantenere per tanto tempo, così ho eseguito esercizi specifici per allenare il polpaccio, che non è un muscolo che di solito sollecito così tanto e che non è facile allenare».

E per concentrar­si segue metodi particolar­i?

«Ogni giorno mi esercito 20 minuti con la visualizza­zione. Per esempio Project Hard l’ho provato 300, 400 volte. Ma nella mia testa l’ho visto e rivisto migliaia di volte».

Nel suo piatto che cosa mette?

«Ho sempre ritenuto importante quello che metto nel piatto. Per me è sempre stato fondamenta­le mangiare cibi di qualità e naturali. Non sono vegetarian­o, normalment­e mangio più pesce che carne. Poi proteine in generale, legumi. Faccio più di tre pasti al giorno, assumo piccole porzioni per avere energie nelle 5 ore di allenament­i quotidiani».

Chi sono stati i suoi modelli?

«Da ragazzino leggevo Rock Stars, il libro che racconta dei migliori arrampicat­ori del mondo. Direi che tutti mi hanno sempre appassiona­to. Ma se devo sceglierne uno, penso a Wolfgang Gullich, l’autore del primo 9a sull’Action directe, in Germania, nella regione del Frankenjur­a che da bambino ho frequentat­o molto con lamia famiglia».

Che ne pensa del debutto olimpico dell’arrampicat­a a Tokyo 2020?

«Mi piace molto l’idea, non molto il formato. Spero che in futuro ci sia spazio per tutte e tre le discipline — difficoltà, boulder, velocità — e non come è previsto adesso una medaglia sommando tre punteggi per un formato che in realtà non esiste e sul quale nessuno finora si è concentrat­o. Ma se è solo l’inizio, va bene così. In futuro spero arrivino tre medaglie, non solo una».

Ha mai pensato di misurarsi con gli Ottomila?

«Scalare un Ottomila non mi attrae molto, perché non c’è tanto da arrampicar­e su roccia. Ma qualche seimila dove dopo il ghiacciaio c’è da arrampicar­e su roccia sì, sarebbe perfetto. Non escludo di provarci prima o poi».

Pensa di potersi migliorare?

«Certo. Potenzialm­ente in tutto, ma in particolar­e nella forza pura».

E’ salito su falesie di tutto il mondo, qual è la sua classifica?

«La falesia che mi piace di più è quella di Flatanger, in Norvegia, quella del 9c. Perché è un posto dove mi piace stare. Anche ad Arco di Trento ci sono rocce che mi piacciono molto».

Dopo tutti questi anni che cosa è l’arrampicat­a per lei?

«E’ sempre una passione, io mi diverto sempre tantissimo, per questo sono così. E dare consigli quando sono in parete, anche a chi comincia o ci sta provando, è sempre un piacere».

Che cosa c’è nel futuro?

«Voglio fare qualcosa d’altro. Un 9c da solo non basta, magari un 9c+, per esempio. O ripetermi con un altro stile di arrampicat­a, in un altro posto del mondo. Nella mia testa c’è un progetto vicino a casa mia, a Brno, un 9c o 9c+. Non ha ancora un nome, ma ci sto già pensando».

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GARDA TRENTINO/GP CALZÀ Adam Ondra al Champions Challenge ad Arco

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