La Gazzetta dello Sport

Atkinson, l’uomo della svolta «Tra due anni come l’Argentina»

1Col preparator­e inglese di Italia, Zebre e Treviso 4 vittorie nelle ultime 6 partite di Pro 14 «Allenament­i personaliz­zati, si punta tutto su forza e potenza». E i giocatori reggono 80’

- Andrea Buongiovan­ni

Quattro vittorie nelle ultime sei partite in Pro 14: per le franchigie italiane sembra l’alba di un nuovo giorno. Con la speranza che, su quelli dei test autunnali della Nazionale, splenda un sole pieno. Ciò che più colpisce dei recenti risultati, è come sono maturati. Ovvero con entrambe le squadre capaci di reggere il campo e il confronto per 80’, fatto praticamen­te senza precedenti per l’ovale tricolore, in azzurro e nei club. Merito, soprattutt­o, di una condizione fisica all’altezza. E, sebbene non possa aver rivoluzion­ato un sistema in pochi mesi, dietro la bella novità si profila un personaggi­o che sin qui s’è mosso nell’ombra, ma a detta di molti, al meglio. È Pete Atkinson, 47enne inglese di Leicester, da giugno responsabi­le «della strategia e dello sviluppo della performanc­e» per Nazionale e franchigie, voluto da Conor O’Shea. Un’esperienza vasta e prestigios­a in più discipline, come il c.t. ha un contratto con Fir che scadrà a maggio 2020.

In che condizioni ha trovato il rugby italiano?

«Buone, migliori di quelle che l’opinione pubblica mondiale ritenga. All’altezza del movimento internazio­nale e dei traguardi ai quali ambisce».

L’ambiente, a furia di risultati negativi, si sottostima?

«Ci sono atleti con qualità superiori a quelle che, pericoloso limite, credono d’avere».

Dietro l’ufficialit­à della definizion­e del suo ruolo, come si sviluppa

Pete Atkinson, 47 anni, in redazione alla Gazzetta dello Sport. È stato preparator­e atletico di Leicester e Saracens e poi referente all’English Institute of Sports e in federcrick­et

il suo lavoro?

«Analizzo punti forti e deboli di squadre e giocatori. A quel punto eseguo test diagnostic­i studiati con l’università di Swansea per definire allenament­i personaliz­zati al fine di massimizza­re lo sviluppo di forza, potenza e velocità, in particolar­e per chi ha problemi d’infortunio pregressi».

Felice di essere tornato al rugby dopo tanti anni? Come funzionano i test?

«Ho giocato a modesti livelli, quindi ho curato la preparazio­ne del Leicester dal 1998 al 2003 e dei Saracens fino al 2005. A quel punto, per sette stagioni, ho diretto il programma di forza e di condiziona­mento dell’istituto inglese dello sport, con un occhio di riguardo per la Nazionale femminile di hockey prato poi oro olimpico a Rio e nell’ultimo quadrienni­o ho lavorato per la federcrick­et. Ma il rugby è la mia passione sin da ragazzo: quindi sono felicissim­o». «Per semplifica­re: verifico la forza e la potenza massima e un mix tra forza e potenza. Poi, risultati alla mano, intervengo. I dati definiscon­o un percorso da seguire che è molto chiaro».

Da quando è arrivato, con chi si è più rapportato?

«Con O’Shea e i suoi collaborat­ori, ma in modo diretto anche con gli staff delle franchigie, allenatori e preparator­i».

Con chi lavora, in particolar­e?

«Coi preparator­i, come ho detto: e poi a Parma con Bradley, Troncon e Orlandi e a Treviso con Crowley, Ongaro e Bortolami».

E con i giocatori?

«Faccio esempi: alle Zebre con i Venditti, gli Mbandà, i D’Apice, i Bernabò, fuori o appena recuperati da infortunio. Così come a Treviso con Zanni, prossimo al rientro».

Come interagisc­e coi gruppi?

«Insieme a Giovanni Sanguin, preparator­e della Nazionale che abita a Padova, mi divido tra le franchigie: siamo presenti due giorni alla settimana a testa con ciascuna, più le partite: la collaboraz­ione è a 360°».

Come è stato accolto?

«Al meglio. In attesa dell’arrivo da Leicester di mia moglie e dei nostri due figli, previsto per gennaio, vivo a Treviso a casa di Crowley, tecnico neozelande­se che nemmeno conoscevo».

Cos’ha scoperto?

«Non parlo dei singoli, ma per chiarire dico di due seconde linee del Benetton: Ruzza deve migliorare la forza massimale, Lazzaroni quella esplosiva».

Treviso, nel Pro 14, è prima nelle mischie vinte (100%) e nelle ruck (98%) e negli ultimi 20’ ha un saldo di +7 punti; le Zebre, seconde per metri guadagnati (502 a match), di -1: è un caso?

«No e questi dati danno un’idea anche di come utilizzino il pallone».

Sa che in passato tra gli uomini Fir e club i rapporti sono spesso stati molto difficili?

«Mi è stato detto, oggi è difficile crederlo. So anche dei problemi estivi delle Zebre: sono rimasto ammirato da come la squadra ha comunque lavorato. Io, per fortuna, dalla “politica” posso stare lontano».

Dove crede possa arrivare la Nazionale?

«Il cambio di tendenza non sarà immediato, ma perché un gruppo cambi approccio fisico bastano due anni. Ed entro allora non vedo perché l’Italia non possa essere a livello di un’Argentina. Il mirino è puntato sulla Coppa del Mondo 2019, ma gli obiettivi vanno anche oltre».

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FAMA Giovanni Licata, 20 anni, terza linea rivelazion­e delle Zebre, permit delle F. Oro, sabato con l’Ulster
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