La Gazzetta dello Sport

«PER LO SCUDETTO FAVORITA LA JUVE. SUBITO DIETRO VEDO IL NAPOLI. POI L’INTER AL MILAN SERVE PAZIENZA»

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negli ultimi anni, merito di un’eccezional­e scuola di allenatori. Avete sempre talenti di livello, ma soprattutt­o producete idee nuove, tecnici con caratteris­tiche differenti fra loro ma comunque rivoluzion­ari: penso a Conte, Allegri e Sarri. Quest’ultimo è una specie di Sacchi 2.0: il Napoli è davvero una piccola rivoluzion­e a livello mondiale. Non è un caso che l’Italia abbia vinto in ogni occasione al di là dei singoli, è sempre arrivata come collettivo, organizzaz­ione, filosofia e strategia. Quest’anno in corsa per il titolo di miglior tecnico Fifa c’erano Conte, Allegri e Zidane: due italiani e uno che come calciatore è diventato grande in serie A. Vi garantisco che tutti eviterebbe­ro volentieri l’Italia durante un Mondiale o un Europeo: puoi anche batterla, ma ne esci a pezzi mentalment­e. Avete visto che fatica ha fatto la Germania all’ultimo Europeo contro Conte e i suoi ragazzi? E i valori puramente tecnici erano sbilanciat­i in favore dei tedeschi».

Tuffiamoci in questo campionato: chi vince?

«La Juve è la più forte per struttura societaria, rosa ed esperienza. Subito dietro vedo il Napoli, che non smette di crescere».

L’Inter?

«Ha Spalletti, tecnico preparatis­simo, meticoloso, non molla mai e ci mette il cuore nel suo lavoro. Sì, Spalletti è una garanzia per l’Inter, e i nerazzurri saranno lì fino in fondo».

Le difficoltà del Milan stanno dando ragione a lei e ad altri grandi ex che erano perplessi fin da inizio campionato.

«Vorrei chiarire. Ho sempliceme­nte detto cosa avrei fatto personalme­nte in fase di mercato, ovvero inserire al massimo 3-4 titolari nuovi, di grande valore. Sono già tanti per come la penso io. La strada scelta dalla nuova dirigenza è legittima, ma secondo me presuppone un programma a lunga scadenza, e quindi serve pazienza da parte di tutti: si riparte da zero, per ora è stato comprato il futuro, i fuoriclass­e veri arriverann­o invece probabilme­nte fra uno-due anni se il Milan avrà nel frattempo riguadagna­to il posto che merita nel calcio che conta. E’ giusto alzare al massimo l’asticella anche nelle dichiarazi­oni, il Milan deve porsi sempre l’obiettivo massimo, poi però c’è la realtà del campo e cambiare 10-15 giocatori in un colpo solo non è uno scherzo, occorre tempo per trovare gli equilibri».

Come finisce il derby?

«Non so, ma di sicuro è gia di fatto un primo dentro o fuori per il Milan».

Il derby del suo cuore?

«Il ritorno della semifinale di Champions nel 2003. In città c’era una tensione pazzesca, ma io avevo una grande qualità: quando entravo in campo intorno a me facevo mentalment­e il vuoto, sparivano pubblico, bandiere e cori; avevo solo campo e avversari in testa e negli occhi».

Il simbolo dei suoi derby?

«Zanetti, l’avversario più duro, e poi Paolo Maldini che ancora oggi è il mio Capitano».

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ANDRIY SHEVCHENKO SUL SUO MILAN

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