La Gazzetta dello Sport

Hughes, gran Capo e la voglia d’Europa «Coi giovani si può»

Ha giocato a Milano, Roma e con Doctor J, ora fa l’assistente all’Orlandina. Un paese di 13 mila abitanti alla conquista della Champions: «Qui 3-4 talenti da Nba»

- Salvatore Pintaudi CAPO D’ORLANDO (MESSINA)

«Da ragazzo il basket era la mia terza scelta, prima venivano baseball e football. A 16 anni sognavo una carriera tra i pro del baseball, ero alto solamente 177 cm. All’improvviso in 3 mesi io e mio fratello gemello, ci siamo allungati di 32 cm. Dormivamo 16 ore al giorno: mangiavo e dormivamo, eravamo sempre stanchi. I medici non sapevano spiegare questa cosa. Avevo dolore alle ossa, soprattutt­o nelle gambe». Si tocca il ginocchio destro e ride, mentre racconta la sua storia. Kim Hughes, un passato in Nba e Serie A, ancora oggi a 65 anni dall’alto dei suoi 211 cm, parla e soprattutt­o insegna pallacanes­tro con la passione di un ragazzino, anche nella piccola Capo d’Orlando (13 mila abitanti) che guarda all’Europa.

Dall’America all’Italia, da Portland a Capo d’Orlando, passando per Milano, Roma, Brescia e Reggio Calabria. Come mai?

«Mia moglie un giorno mi disse: basta con il basket e l’America, andiamo lontano. Le avevo tanto parlato di Reggio, dove con la Viola ho vissuto 5 anni splendidi. Avevamo tre opzioni: Milano, Roma e appunto la Calabria. Ovviamente ha scelto il posto dove c’è il mare. Capo è arrivata all’improvviso: con una telefonata di Giuseppe Sindoni (d.s. dell’Orlandina, n.d.r.), che mi parla della società e di un progetto giovane. Provvidenz­iale: mi ero stancato di stare sul divano di casa a guardare l’Nba, e così, anche con il consenso di mia moglie, accettai».

Da giocatore era etichettat­o come una testa dura. Come mai?

«Sono nato con la testa dura, non mi piacciono le ingiustizi­e. Prima volta in Italia a Milano nel ’74: avevo litigato con i San Antonio Spurs che mi volevano fare firmare un contratto senza taglio. Dovetti ritornare in Nba per ordine del giudice, dopo 6 anni ebbi un problema con Denver e Cleveland, scelsi nuovamente l’esilio: firmai con Roma. Ho smesso di giocare a Reggio Calabria, quando l’ho deciso io e solo per problemi fisici, a 39 anni».

Perché preferisce lavorare con i giovani?

«In Italia la pallacanes­tro è rimasta ferma. Negli Anni 80 i campionati erano più combattuti e avvincenti con atleti che era un piacere guardare, faccio un solo esempio: Dino Meneghin. Adesso c’è una A-2 a 32 squadre, senza che ci siano giocatori e allenatori a sufficienz­a. Ai primi si chiede il tiro da 3, anche se hanno delle lacune nei fondamenta­li, chi va in panchina è alla disperata ricerca del risultato ad ogni costo».

Come vede la Nba?

«Anche lì il basket è cambiato molto. Non c’è il classico centro come ero io. Prendiamo ad

esempio Golden State che molto probabilme­nte vincerà il titolo anche quest’anno: tutti tirano da lontano. Anche nelle scuole non c’è più la ricerca del “lungo”, ma del giocatore veloce, rapido e con un tiro preciso. Questo non è positivo per il basket».

Due italiani giocano in America, tanti vorrebbero farlo. Anche l’Orlandina ha qualcuno che può ambire al salto?

«Il migliore italiano che ho visto nei pro è Gallinari. In Italia è rimasto Gentile, ma credo che ancora non sia pronto per il grande salto. A Capo ci sono 3-4 giocatori che in futuro potrebbero giocare negli States ma devono avere pazienza e lavorare tanto. Crescerann­o anche partecipan­do alla Champions League che abbiamo meritatame­nte conquistat­o».

A proposito di giovani, come si trova con coach Di Carlo?

«Parliamo anche 2 ore al giorno, ci confrontia­mo è bravo ma soprattutt­o vuole crescere. Credo che sia l’allenatore giusto per questi ragazzi».

Dal tunnel sbuca Stojanovic (guardia di 199 cm), sta recuperand­o da un’operazione al ginocchio. Sul parquet servono i preziosi consigli di Hughes. Il tecnico americano risponde ad un Whatsapp del suo amico Julius Erving poi saluta, si posiziona sotto il tabellone e comincia la sua lezione con il talentuoso serbo.

MIA MOGLIE DISSE: BASTA CON L’AMERICA, ANDIAMO LONTANO KIM HUGHES 65 ANNI

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CIAM Mirza Alibegovic, 25 anni, durante il match dei preliminar­i di Champions League contro Saratov
 ??  ?? Da sinistra: Toio Ferracini, Chuck Jura e Kim Hughes nel derby milanese della stagione 1974-75 tra Innocenti e Mobilquatt­ro
Da sinistra: Toio Ferracini, Chuck Jura e Kim Hughes nel derby milanese della stagione 1974-75 tra Innocenti e Mobilquatt­ro
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