La Gazzetta dello Sport

RIFLESSION­I NON EPURAZIONI

- di UMBERTO ZAPELLONI

Perdere così, praticamen­te senza scendere in pista, fa male. Probabilme­nte malissimo. Il museo degli orrori della Ferrari, quello dove venivano raccolti i particolar­i rotti che avevano procurato una rottura, un ritiro, una figuraccia, si arricchisc­e di una candela da pochi euro.

Perdere così, praticamen­te senza scendere in pista, fa male. Probabilme­nte malissimo. Il museo degli orrori della Ferrari, quello dove venivano raccolti i particolar­i rotti che avevano procurato una rottura, un ritiro, una figuraccia, si arricchisc­e di una candela da pochi euro. Una beffa consumatas­i durante il giro di formazione e completata­si dopo pochi metri, quando si è subito capito che il motore di Vettel aveva il fiato corto. L’aritmetica non condanna ancora la Ferrari, ma 59 punti di distacco a 4 gare dalla fine raccontano il contrario. «Non serve un genio della matematica», come dice melanconic­o Sebastian Vettel.

Le balle presidenzi­ali probabilme­nte stanno girando come non mai perché da Monza in poi la Ferrari è scoppiata come il palloncino sfuggito al bambino, ma l’importante è lasciare che la rabbia del momento lasci spazio all’orgoglio di essere arrivati fino a qui. Sei pensiamo a dove era un anno fa, il 2017 della Ferrari può essere letto come un grande passo avanti, un salto in lungo oltre i primi ostacoli anche se il muro finale è stato invalicabi­le proprio quando sembrava più basso del temuto. L’illusione di esserci, di aver raggiunto la Mercedes, è stata terribile. Ma era giusto e logico forzare, mettere a rischio l’affidabili­tà per centrare il bersaglio grosso, quello che ormai manca da 10 anni (2007 con Raikkonen). Sarebbe stato peggio accontenta­rsi e non provarci per nulla. Sarebbe rimasto il rimpianto che spesso ha un sapore molto più amaro della sconfitta. Ricomincia­re dopo le botte prese nelle ultime gare non sarà semplice. Ma prima di incassare la Ferrari aveva dimostrato di saper colpire. Sono tornate le pole (4) e le vittorie (4). Non tantissime, ma neppure poche e soprattutt­o mai arrivate per caso. E’ da qui che bisogna ricomincia­re. Senza farsi prendere dalla voglia di trovare un colpevole per forza, di tagliare qualche testa, di offrire una vittima sacrifical­e. E’ corretto analizzare che cosa è capitato, che cosa non ha funzionato nel processo di controllo qualità, perché chiedendo più prestazion­i è venuta a mancare l’affidabili­tà. Qualche correzione andrà per forza fatta. Qualche verifica dei fornitori messi sotto accusa da Marchionne prima e da Arrivabene poi, pure. Ma sarà meglio prendere ogni decisione a «balle rotanti» ormai ferme per evitare di tagliare rami che ancora secchi non sono. D’altra parte, pur con il cambio di regolament­i di quest’anno, era difficile pensare ad un ribaltone immediato. La Ferrari in alcune gare è stata superiore alla Mercedes, in alcune condizioni anche molto superiore. Ma alla lunga ha pagato lo sforzo enorme che deve fare chi è in recupero e una volta arrivato in testa non ha più fiato e dai muscoli intrisi di acido lattico arrivano solo dolori.

Qualche volta hanno sbagliato i piloti, qualche volta hanno sbagliato i tecnici, qualche volta può aver sbagliato anche un meccanico. Ma la storia recente della Ferrari insegna che ci vuole pazienza. Per ritornare a vincere con Schumacher a Maranello aspettaron­o dal 1996 al 2001 (con un mondiale costruttor­i l’anno prima). Se Montezemol­o fosse stato a sentire chi gli chiedeva la testa di Todt dopo i primi tre anni chissà se sarebbero mai arrivati gli anni dell’oro... Bisogna solo capire che vincere in Formula 1 non è facile, ma terribilme­nte complicato.

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