RIFLESSIONI NON EPURAZIONI
Perdere così, praticamente senza scendere in pista, fa male. Probabilmente malissimo. Il museo degli orrori della Ferrari, quello dove venivano raccolti i particolari rotti che avevano procurato una rottura, un ritiro, una figuraccia, si arricchisce di una candela da pochi euro.
Perdere così, praticamente senza scendere in pista, fa male. Probabilmente malissimo. Il museo degli orrori della Ferrari, quello dove venivano raccolti i particolari rotti che avevano procurato una rottura, un ritiro, una figuraccia, si arricchisce di una candela da pochi euro. Una beffa consumatasi durante il giro di formazione e completatasi dopo pochi metri, quando si è subito capito che il motore di Vettel aveva il fiato corto. L’aritmetica non condanna ancora la Ferrari, ma 59 punti di distacco a 4 gare dalla fine raccontano il contrario. «Non serve un genio della matematica», come dice melanconico Sebastian Vettel.
Le balle presidenziali probabilmente stanno girando come non mai perché da Monza in poi la Ferrari è scoppiata come il palloncino sfuggito al bambino, ma l’importante è lasciare che la rabbia del momento lasci spazio all’orgoglio di essere arrivati fino a qui. Sei pensiamo a dove era un anno fa, il 2017 della Ferrari può essere letto come un grande passo avanti, un salto in lungo oltre i primi ostacoli anche se il muro finale è stato invalicabile proprio quando sembrava più basso del temuto. L’illusione di esserci, di aver raggiunto la Mercedes, è stata terribile. Ma era giusto e logico forzare, mettere a rischio l’affidabilità per centrare il bersaglio grosso, quello che ormai manca da 10 anni (2007 con Raikkonen). Sarebbe stato peggio accontentarsi e non provarci per nulla. Sarebbe rimasto il rimpianto che spesso ha un sapore molto più amaro della sconfitta. Ricominciare dopo le botte prese nelle ultime gare non sarà semplice. Ma prima di incassare la Ferrari aveva dimostrato di saper colpire. Sono tornate le pole (4) e le vittorie (4). Non tantissime, ma neppure poche e soprattutto mai arrivate per caso. E’ da qui che bisogna ricominciare. Senza farsi prendere dalla voglia di trovare un colpevole per forza, di tagliare qualche testa, di offrire una vittima sacrificale. E’ corretto analizzare che cosa è capitato, che cosa non ha funzionato nel processo di controllo qualità, perché chiedendo più prestazioni è venuta a mancare l’affidabilità. Qualche correzione andrà per forza fatta. Qualche verifica dei fornitori messi sotto accusa da Marchionne prima e da Arrivabene poi, pure. Ma sarà meglio prendere ogni decisione a «balle rotanti» ormai ferme per evitare di tagliare rami che ancora secchi non sono. D’altra parte, pur con il cambio di regolamenti di quest’anno, era difficile pensare ad un ribaltone immediato. La Ferrari in alcune gare è stata superiore alla Mercedes, in alcune condizioni anche molto superiore. Ma alla lunga ha pagato lo sforzo enorme che deve fare chi è in recupero e una volta arrivato in testa non ha più fiato e dai muscoli intrisi di acido lattico arrivano solo dolori.
Qualche volta hanno sbagliato i piloti, qualche volta hanno sbagliato i tecnici, qualche volta può aver sbagliato anche un meccanico. Ma la storia recente della Ferrari insegna che ci vuole pazienza. Per ritornare a vincere con Schumacher a Maranello aspettarono dal 1996 al 2001 (con un mondiale costruttori l’anno prima). Se Montezemolo fosse stato a sentire chi gli chiedeva la testa di Todt dopo i primi tre anni chissà se sarebbero mai arrivati gli anni dell’oro... Bisogna solo capire che vincere in Formula 1 non è facile, ma terribilmente complicato.