BISCARDI, L’INVENTORE DEL BAR SPORT IN TV IMITATO ANCORA OGGI
È morto a 86 anni il popolare e discusso conduttore del Processo negli anni Ottanta. La sua battaglia per la moviola in campo
L’Italia degli anni Ottanta è il Paese della pipa che il presidente Pertini sventola in faccia ai tedeschi nella magica notte del Santiago Bernabeu, dell’ascesa al potere di Bettino Craxi, della marcia dei quarantamila della Fiat, ordinati e silenziosi a rappresentare la ribellione del ceto medio, dell’inflazione che galoppa e del reaganismo che sbarca nelle nostre città. Ma è anche, quest’Italia che esce dagli anni di piombo, il luogo dove s’inventa e si sviluppa un nuovo modo di fare televisione. Ideatore di quel prodotto è Aldo Biscardi, giornalista che dopo un lungo periodo trascorso a Paese Sera arriva a Rai Tre nel 1979, proprio all’alba della nuova rete. E, con un palinsesto tutto da costruire e non sapendo ancora quale pubblico intercettare, i dirigenti del servizio pubblico intuiscono che lo sport è un campo nel quale si può pescare. Nasce così, inizialmente come esperimento, una trasmissione che, puntata dopo puntata, diventerà «Il Processo del Lunedì» ed entrerà, come un autentico uragano, nella case degli italiani. A condurlo, nelle prime edizioni, saranno il giornalista radiofonico Enrico Ameri (con Novella Calligaris) e poi Marino Bartoletti. Dal 1983, invece, in video apparirà lui, il Gran Cerimoniere del Calcio, l’Aldo Nazionale, quello che finge di calmare i suoi ospiti (giornalisti sportivi e non, ministri, attori e attrici, affermati professionisti che si travestono da tifosacci), e sotto sotto li istiga e alimenta il dibattito-rissa.
LIVELLO Dagli studi del Processo passano tutti. C’è Giulio Andreotti che, al fianco del presidente romanista Dino Viola e a Paulo Roberto Falcao, festeggia lo scudetto del 1983. C’è persino l’Avvocato Agnelli che accetta l’invito di Biscardi. C’è, ovviamente, Silvio Berlusconi che, fiutando l’aria, sceglie quel palcoscenico per parlare agli italiani. E poi si alternano personaggi dello spettacolo, del teatro, del cinema, della cultura: persino un raffinato intellettuale come Carmelo Bene scende in campo. E ciò significa che il prodotto televisivo ideato da Biscardi, e supportato dalla struttura di Rai Tre guidata da un direttore come Angelo Guglielmi, è ormai entrato a far parte del costume nazionale. Al «Processo» si consumano autentici duelli, volano parole grosse, si interrompono amicizie e purtroppo, spesso, come accade nelle discussioni al bar, si violenta la lingua italiana: il congiuntivo diventa un optional e i discorsi si sovrappongono in un’orgia di voci che innalza sì l’audience, ma abbassa paurosamente il livello del dibattito.
FOTOCOPIE Il concetto di Biscardi, semplicemente e banalmente, potrebbe essere così descritto: caos organizzato. Non è il senso del ragionamento a prevalere, ma i decibel: ha ragione chi urla di più, chi la spara più grossa (magari inventando o millantando), chi diventa paonazzo nel mezzo della discussione e allora lo spettatore si appassiona e rimane attaccato alla televisione, perché si sa che il politically correct non vince mai contro il trash. Il merito di Biscardi è quello di aver intercettato una larga parte di pubblico e, forse, di averlo educato (o diseducato, dipende dai punti di vista) al suo verbo. Se accendete il televisore su un qualsiasi canale locale, il lunedì troverete ancora oggi trasmissioni che sono l’esatta fotocopia del Processo, dove ogni ospite interpreta una parte secondo il copione prestabilito: c’è quello che si atteggia da esperto tattico, c’è il tifosissimo di una squadra che se la prende con l’arbitro e il tifosissimo della squadra rivale che gli fa da controcanto. Una recita, una specie di melodramma che probabilmente gli italiani hanno nel dna (negli altri Paesi non esistono simili modelli televisivi) e che Biscardi ha elevato a cerimonia fino a farla entrare nella storia del costume.
FAKE NEWS Terminata l’esperienza in Rai, l’avventura del Processo non si chiude. Non è più «Il Processo del Lunedì», ma «Il Processo di Biscardi». E, come avviene in questi casi, si assiste a un declino: d’altronde anche il terzo atto del Padrino di Francis Ford Coppola non ha la stessa forza del primo. Aumentano le polemiche, i personaggi si trasformano sempre più in macchiette, i famosi «sgub» (neologismo biscardiano per significare scoop) si rivelano tremende bufale. E anche qui, oggi che tanto si parla di fake news, di notizie inventate, Biscardi può appuntarsi la medaglia al petto. Prima di dare la parola a Berlusconi che annuncia la conferma di Kakà al Milan, lui afferma, con assoluta certezza perché «la fonte è di prima mano» (formula d’obbligo quando si deve vendere il prodotto), che il brasiliano ha già firmato per il Manchester City. Salvo poi, ascoltato Berlusconi che lo smentisce, salire sul carro e complimentarsi per l’operazione. Unico, impareggiabile Biscardi.
«NON PARLATE TUTTI INSIEME, AL MASSIMO TRE ALLA VOLTA» ALDO BISCARDI GIORNALISTA