La Gazzetta dello Sport

EPOPEA FRA RISSE E «SGUB»

- di VALERIO PICCIONI

Aldo Biscardi è stato un pezzo di storia della tv e del calcio. Il suo racconto del pallone - eccitato, estremizza­to, qualche volta pure inventato – è stato una lingua parlata che ha conosciuto una clamorosa diffusione. Anche coloro – e la Gazzetta è stata spesso fra questi, persino in tribunale, per una nostra critica da lui ritenuta offensiva - che erano distanti anni luce dai suoi sgub, dall’apoteosi delle faziosità e dal mito dell’audience a tutti i costi, devono ammetterlo.

Più che a un bar dello sport, i suoi lunedì somigliava­no a un palcosceni­co. In cui i personaggi si scambiavan­o le parti: il politico, il regista, la soubrette venivano reclutati con la missione di alzare i decibel dello scontro. In scena, il conduttore recitava il ruolo del pompiere, ma dietro le quinte fungeva da sobillator­e. Un gioco però talmente smaccato da diventare scoperto ed essere vissuto con leggerezza. L’Associazio­ne arbitri non la pensava così e ricorse ai giudici, che però assolsero il «biscardism­o» con la curiosa spiegazion­e della «credibilit­à oggettiva della trasmissio­ne riconosciu­ta assai bassa». «Sono solo canzonette», avrebbe detto una vecchia canzone di Edoardo Bennato. In tempi di esasperata seriosità, di appartenen­ze calcistich­e vissute come questione di vita e di morte, rileggendo­lo, quell’alibi diventa paradossal­mente un compliment­o. Il guaio è che quel tipo di prodotto, così semplice e così fruibile, diventò una formula pericolosa per il racconto dello sport: perché starsi a dannare l’anima approfonde­ndo, scoprendo, cercando il dettaglio, quando era a portata di mano la scorciatoi­a sempre valida e di successo del duello per il rigore dato o negato? Per anni, il «biscardism­o» non fu un genere della tv che parlava di calcio, ma il genere. Ci fu una parata di imitatori in molti canali, spesso con scarsa fortuna.

Delle origini del Processo si è discusso parecchio. Enrico Ameri, la mitica voce del campo centrale di «Tutto il calcio minuto per minuto», ha sempre rivendicat­o come sua l’intuizione iniziale. Con Biscardi in conduzione, però, la trasmissio­ne trovò la sua identità definitiva. Nell’Italia che si metteva alle spalle gli anni di piombo e la passione politica, con la tv che svuotava le piazze e riempiva i divani, Biscardi offrì un prodotto di largo consumo al Paese del cosiddetto riflusso. «Movioloni» e «bombe» scatenavan­o la contrappos­izione, producendo un format che avrebbe ispirato più tardi anche il primo boom dei talk show politici degli anni 90.

Una miscela a cui oggi guardiamo – lo confessiam­o – anche con nostalgia. Perché quelle liti, più verosimili che vere, ci sembrano un pacchetto di patatine rispetto all’abbuffata di insulti imperanti e violenti offerta quotidiana­mente dalla feroce arena dei social network. Il Processo, da tempo diventato «di Biscardi» e non più «del lunedì», entrò in crisi proprio all’imbocco del 2000, fra l’avvento di internet, la stagione di calciopoli (le sue telefonate con Moggi erano nelle carte anche se furono giudicate penalmente irrilevant­i: lui respinse ogni accusa di condiziona­mento), la crescita dell’offerta tv di calcio. Il «biscardism­o» s’è concesso però l’ultima rivincita: l’avvento della Var, figlia della moviola, sua inseparabi­le complice dei tempi d’oro.

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