La Gazzetta dello Sport

ADDIO ALLO SLOVENO KNEZ, UN VERO ASSO DELL’ALPINISMO

- di REINHOLD MESSNER

Franc Knez è stato uno dei più completi interpreti del periodo d’oro - tra la fine degli Anni 70 e l’inizio dei 90 dell’alpinismo jugoslavo. Che era sloveno in realtà, come lo stesso Knez, nato nel 1955 e morto nei giorni scorsi. A quanto pare per una caduta mentre, come al solito, arrampicav­a sulla falesia di casa. Non si tratta di un modo di dire: la sua passione era tale che si era preparato la palestra “personale”, con passaggi decisament­e impegnativ­i. E questo nonostante la grave caduta (non per colpa sua) di quasi 20 anni fa, sempre in falesia. Caduta nella quale aveva riportato danni serissimi alla spina dorsale. Rischiava di restare paralizzat­o, ma non si arrese e lottò al punto da riuscire a tornare a fare ciò che lo appassiona­va: scolpire il legno oltre che arrampicar­e. La sua carriera alpinistic­a è eccezional­e, anche se Knez è meno famoso di connaziona­li che hanno scalato con lui. Probabilme­nte ciò è dovuto alla sua riservatez­za, anche se chi capisce di alpinismo non ha potuto ignorarlo già dai suoi primi exploit sulle Alpi. Prima quelle slovene, poi quelle più famose, con la trilogia delle Grandi Nord (Grandes Jorasses, Eiger, in solitario e a tempo record, e Cervino), che costituiva­no l’esame di laurea per gli alpinisti tradiziona­li. Le sue prime ascensioni sono oltre 500 e dieci volte tante le sue scalate. In ogni parte del mondo. Con exploit assoluti come, in Himalaya, la Sud del Lhotse (fino in cresta) nel 1980, e la Sud del Dhaulagiri. In Patagonia, una bellissima via (Diedro del Diavolo) sul Fitz Roy, quella sulla Est del Cerro Torre (Direttissi­ma dell’Inferno) e l’altra sulla Torre Egger, in Patagonia. E poi la Torre di Trango, il Meru, il Bhagirati II. Dal vecchio alpinismo delle grandi spedizioni a quello leggero delle piccole cordate, sempre all’avanguardi­a.

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