La Gazzetta dello Sport

Cosa vuol dire che in Catalogna «l’indipenden­za è sospesa»?

Il leader Puigdemont prima annuncia un nuovo Stato, poi apre ai negoziati: «Non siamo golpisti». Madrid: «Inammissib­ile ricatto»

- di GIORGIO DELL’ARTI gda@vespina.com MERCOLEDÌ 11 OTTOBRE 2017

Con la sua zazzera nera, un viso teso e in mano i fogli pieni di appunti e cancellatu­re, ieri poco dopo le 19, il presidente della Generalita­t, Carles Puigdemont, ha preso la parola al Parlament catalano e ha detto quanto segue: «Non siamo pazzi né golpisti, siamo gente normale che chiede di poter votare. Non abbiamo niente contro gli spagnoli, ma un popolo non può essere costretto ad accettare uno status quo che non vuole: con i risultati del referendum la Catalogna ha guadagnato il diritto a essere indipenden­te e ascoltata». Poi, cambiando lingua e passando dal catalano al castiglian­o, ha continuato: «I sondaggi dicono sì all’indipenden­za, e questa è l’unica lingua che capiamo». Quindi, ha scandito: «Prendo atto dei risultati del referendum del 1° ottobre e assumo il mandato del popolo affinché la Catalogna si proclami uno Stato indipenden­te in forma diretta». Dopo questa frase solenne, però, Puigdemont ha chiesto al Parlament un mandato per trattare, «una sospension­e della dichiarazi­one d’indipenden­za per avviare un dialogo con il governo, che avvenga da ambo le parti all’insegna di responsabi­lità e rispetto». Metà dell’aula ha applaudito convinta, l’altra metà è rimasta immobile. Decine di migliaia di persone che si erano riunite nei dintorni del parco della Ciudadela, a Barcellona, per seguire il discorso sui maxischerm­i sono rimaste in silenzio.

1 E questo che vuole dire? La Catalogna ora è indipenden­te o no?

Vuole dire che il presidente del governo autonomo di Barcellona ha deciso di evitare il muro contro muro, una scelta che tra l’altro gli causa non pochi problemi interni, scontentan­do le frange più radicali del movimento. Le pressioni su Puigdemont erano state fortissime negli ultimi giorni. Lui aveva tenuto le carte coperte, nonostante appelli (ultimo quello della sindaca di Barcellona Ada Colau) e moniti di alleati e avversari. Ha dovuto ritardare il discorso di un’ora per dare ascolto, così sembra, a un ultimo disperato tentativo di mediazione internazio­nale. Alla fine, nonostante l’apertura al dialogo, non ha risparmiat­o attacchi tremendi al governo spagnolo: «Le violenze estreme della polizia di Madrid, senza precedenti in Europa, non hanno impedito il voto. E le immagini dei feriti rimarranno per sempre. Ci sono persone preoccupat­e, colte dallo sgomento di ciò che è accaduto e che potrebbe accadere».

2 E da Madrid che dicono?

Un portavoce del governo spagnolo ieri sera ha affermato che «è inammissib­ile fare una dichiarazi­one implicita di indipenden­za e poi sospenderl­a in modo esplicito, il governo non cederà a ricatti», ribadendo poi che il referendum è stato «fraudolent­o e illegale». Il che vuole dire che al momento non sembrano esserci possibilit­à di dialogo. Mariano Rajoy parlerà domani pomeriggio alle 16 davanti al Congresso. Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, in un tweet ha chiesto che il primo ministro «si assuma la responsabi­lità del dialogo».

3 Quale reazione ci dobbiamo aspettare?

In ogni caso, anche se sospesa, la dichiarazi­one d’indipenden­za per Madrid è una violazione della legge, perché corrispond­e all’attuazione arbitraria del voto emerso da un referendum bocciato dal Tribunal Constituci­onal (la Corte costituzio­nale spagnola). In questo contesto, il governo sarebbe giustifica­to anche a usare la forza, ipotesi che ci sembra improbabil­e, soprattutt­o dopo le violenze e le polemiche internazio­nale del primo ottobre. Più realistica­mente, il premier potrebbe applicare l’articolo 155 della Costituzio­ne, che prevede più o meno il commissari­amento della comunità autonoma ribelle. Un articolo che non è mai stato messo in pratica nella storia spagnola. Per fare ciò Rajoy, presidente di un governo di minoranza, non ha bisogno dell’appoggio dei rivali socialisti. Basta infatti una decisione del Senato, dove il suo Partido Popular ha la maggioranz­a.

4 Puigdemont rischia davvero il carcere?

Nei giorni scorsi Rajoy ha lanciato diversi ammoniment­i al leader catalano, anche se è entrato poco nel merito delle fattispeci­e penali che gli sarebbero contestate in caso di dichiarazi­one di indipenden­za. Nel concreto, i reati che si configurer­ebbero per Puigdemont sono sedizione (con una pena dai 10 ai 15 anni ai sensi del Codice penale spagnolo) e ribellione contro lo Stato (pena dai 15 ai 25 secondo l’articolo 473 dello stesso Codice). Ma vista la posizione di dialogo che ha assunto, si escludereb­be un arresto, almeno per il momento.

5 E a livello economico cosa può succedere?

Sarebbe meglio dire cosa è già successo. Dopo il voto è iniziato quello che la stampa locale ha chiamato «l’esodo» di banche e aziende catalane o con sedi operative nella regione. Imprese di peso e importanti istituti finanziari come CaixaBank (quasi 30 miliardi di capitalizz­azione) hanno annunciato il trasferime­nto in altre regioni della Spagna per proteggers­i dall’incognita di un’economia isolata. El

Mundo ha calcolato una perdita pari al 50% del Pil della regione. Un Pil che ora vale 200 miliardi di euro. Nel frattempo, starebbero iniziando anche le prime fughe dei conti bancari. Ieri la Borsa di Madrid non si è fatta prendere dal panico, chiudendo con una perdita contneuta dello 0,9%.

NON SIAMO DELINQUENT­I, NON SIAMO PAZZI, NON SIAMO GOLPISTI

SIAMO GENTE NORMALE CHE CHIEDE DI POTER VOTARE

CARLES PUIGDEMONT PRESIDENTE GENERALITA­T

 ?? AFP ?? Carles Puigdemont, presidente della Generalita­t, durante il discorso in Parlamento. A destra, gli indipenden­tisti in piazza a Barcellona
AFP Carles Puigdemont, presidente della Generalita­t, durante il discorso in Parlamento. A destra, gli indipenden­tisti in piazza a Barcellona
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