Cosa vuol dire che in Catalogna «l’indipendenza è sospesa»?
Il leader Puigdemont prima annuncia un nuovo Stato, poi apre ai negoziati: «Non siamo golpisti». Madrid: «Inammissibile ricatto»
Con la sua zazzera nera, un viso teso e in mano i fogli pieni di appunti e cancellature, ieri poco dopo le 19, il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, ha preso la parola al Parlament catalano e ha detto quanto segue: «Non siamo pazzi né golpisti, siamo gente normale che chiede di poter votare. Non abbiamo niente contro gli spagnoli, ma un popolo non può essere costretto ad accettare uno status quo che non vuole: con i risultati del referendum la Catalogna ha guadagnato il diritto a essere indipendente e ascoltata». Poi, cambiando lingua e passando dal catalano al castigliano, ha continuato: «I sondaggi dicono sì all’indipendenza, e questa è l’unica lingua che capiamo». Quindi, ha scandito: «Prendo atto dei risultati del referendum del 1° ottobre e assumo il mandato del popolo affinché la Catalogna si proclami uno Stato indipendente in forma diretta». Dopo questa frase solenne, però, Puigdemont ha chiesto al Parlament un mandato per trattare, «una sospensione della dichiarazione d’indipendenza per avviare un dialogo con il governo, che avvenga da ambo le parti all’insegna di responsabilità e rispetto». Metà dell’aula ha applaudito convinta, l’altra metà è rimasta immobile. Decine di migliaia di persone che si erano riunite nei dintorni del parco della Ciudadela, a Barcellona, per seguire il discorso sui maxischermi sono rimaste in silenzio.
1 E questo che vuole dire? La Catalogna ora è indipendente o no?
Vuole dire che il presidente del governo autonomo di Barcellona ha deciso di evitare il muro contro muro, una scelta che tra l’altro gli causa non pochi problemi interni, scontentando le frange più radicali del movimento. Le pressioni su Puigdemont erano state fortissime negli ultimi giorni. Lui aveva tenuto le carte coperte, nonostante appelli (ultimo quello della sindaca di Barcellona Ada Colau) e moniti di alleati e avversari. Ha dovuto ritardare il discorso di un’ora per dare ascolto, così sembra, a un ultimo disperato tentativo di mediazione internazionale. Alla fine, nonostante l’apertura al dialogo, non ha risparmiato attacchi tremendi al governo spagnolo: «Le violenze estreme della polizia di Madrid, senza precedenti in Europa, non hanno impedito il voto. E le immagini dei feriti rimarranno per sempre. Ci sono persone preoccupate, colte dallo sgomento di ciò che è accaduto e che potrebbe accadere».
2 E da Madrid che dicono?
Un portavoce del governo spagnolo ieri sera ha affermato che «è inammissibile fare una dichiarazione implicita di indipendenza e poi sospenderla in modo esplicito, il governo non cederà a ricatti», ribadendo poi che il referendum è stato «fraudolento e illegale». Il che vuole dire che al momento non sembrano esserci possibilità di dialogo. Mariano Rajoy parlerà domani pomeriggio alle 16 davanti al Congresso. Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, in un tweet ha chiesto che il primo ministro «si assuma la responsabilità del dialogo».
3 Quale reazione ci dobbiamo aspettare?
In ogni caso, anche se sospesa, la dichiarazione d’indipendenza per Madrid è una violazione della legge, perché corrisponde all’attuazione arbitraria del voto emerso da un referendum bocciato dal Tribunal Constitucional (la Corte costituzionale spagnola). In questo contesto, il governo sarebbe giustificato anche a usare la forza, ipotesi che ci sembra improbabile, soprattutto dopo le violenze e le polemiche internazionale del primo ottobre. Più realisticamente, il premier potrebbe applicare l’articolo 155 della Costituzione, che prevede più o meno il commissariamento della comunità autonoma ribelle. Un articolo che non è mai stato messo in pratica nella storia spagnola. Per fare ciò Rajoy, presidente di un governo di minoranza, non ha bisogno dell’appoggio dei rivali socialisti. Basta infatti una decisione del Senato, dove il suo Partido Popular ha la maggioranza.
4 Puigdemont rischia davvero il carcere?
Nei giorni scorsi Rajoy ha lanciato diversi ammonimenti al leader catalano, anche se è entrato poco nel merito delle fattispecie penali che gli sarebbero contestate in caso di dichiarazione di indipendenza. Nel concreto, i reati che si configurerebbero per Puigdemont sono sedizione (con una pena dai 10 ai 15 anni ai sensi del Codice penale spagnolo) e ribellione contro lo Stato (pena dai 15 ai 25 secondo l’articolo 473 dello stesso Codice). Ma vista la posizione di dialogo che ha assunto, si escluderebbe un arresto, almeno per il momento.
5 E a livello economico cosa può succedere?
Sarebbe meglio dire cosa è già successo. Dopo il voto è iniziato quello che la stampa locale ha chiamato «l’esodo» di banche e aziende catalane o con sedi operative nella regione. Imprese di peso e importanti istituti finanziari come CaixaBank (quasi 30 miliardi di capitalizzazione) hanno annunciato il trasferimento in altre regioni della Spagna per proteggersi dall’incognita di un’economia isolata. El
Mundo ha calcolato una perdita pari al 50% del Pil della regione. Un Pil che ora vale 200 miliardi di euro. Nel frattempo, starebbero iniziando anche le prime fughe dei conti bancari. Ieri la Borsa di Madrid non si è fatta prendere dal panico, chiudendo con una perdita contneuta dello 0,9%.
NON SIAMO DELINQUENTI, NON SIAMO PAZZI, NON SIAMO GOLPISTI
SIAMO GENTE NORMALE CHE CHIEDE DI POTER VOTARE
CARLES PUIGDEMONT PRESIDENTE GENERALITAT