Torturò e violentò decine di profughi Ergastolo al somalo
Libia era il capo di un campo: venne arrestato dopo i racconti dei connazionali
Iracconti delle vittime sono allucinanti. C’è chi è stato picchiato fino a sputare sangue, per esempio, chi è stato legato mani e piedi e lasciato in balia di un cane affamato, chi violentato. Botte, sevizie, sopraffazioni. Lui, Osman Matammud, detto Ismail, il somalo di 22 anni, fermato a settembre a Milano con l’accusa di aver ucciso e torturato decine di connazionali nel campo profughi di Bani Walid in Libia, ha negato fino all’ultimo: «Non ho mai commesso i fatti di cui mi si accusa». La Corte di Assise di Milano, però, non gli ha creduto, condannandolo all’ergastolo ieri. I giovani somali, parti civili nel processo (in tutto sono stati sentiti 17 migranti, due erano quelli presenti), che hanno atteso la sentenza fuori dall’aula del tribunale, non hanno voluto essere fotografati ma hanno affidato a un interprete i loro ricordi. E hanno detto di essere «felici per avere ricevuto giustizia» dall’Italia. Resta la domanda principale: perché tanta atrocità gratuita? La chiave è economica. «Volevano i soldi in fretta. Facevano queste cose per ottenere dalle famiglie il denaro velocemente».
CINQUE ORE Secondo le indagini coordinate dal pm Marcello Tatangelo, Matammud sarebbe stato uno dei capi di Bani Walid, città libica dove avrebbe perpetrato violenze sessuali su decine di ragazzi e avrebbe torturato centinaia di connazionali, rimasti sotto sequestro fino a quando non avessero messo assieme il denaro necessario per pagarsi il viaggio verso l’Europa. Secondo l’accusa, il somalo è «un sadico, uno che si diverte a torturare e a uccidere. Ha solo 22 anni e si è sentito onnipotente ad avere nelle sue mani la vita di centinaia di persone». La Corte milanese, dopo circa cinque ore di camera di consiglio, ha dato credito all’accusa.