IL DIO MESSI E LA BANALITÀ DEL BENE
Passando attraverso la sua notte più lunga, ai quasi tremila metri di Quito, Messi esce con un profilo da gigante dopo aver trascinato l’Argentina al Mondiale. Grazie a Dios, scrivono a Buenos Aires e dietro a quella D spunta il faccione di Leo, il sorriso disegnato dalla barba che alla fine ha asciugato tutto: sudore e forse anche due lacrime di commozione e di gioia, rare e preziose per l’asso del Barça. Pecho frio dicevano di lui gli argentini, abituati a nuotare nei melodrammi. Sulle colonne sonore dei loro tanghi, cantano nostalgie e aspettano apparizioni. Maradona piangeva trascinando il suo corpo ingombrante nell’infinito giro d’onore alla Bombonera, il giorno dell’addio al calcio, e non riusciva ad andare via. Piangeva e stava là. Sono passati sedici anni, ma mi ricordo come un brivido le facce e gli occhi gonfi di migliaia e migliaia di ragazzi, il muro di folla che piangeva con lui. Bella gente, tanti figli della media borghesia che, a quei tempi, a Buenos Aires esisteva ancora. Da Evita a Peron, da Gardel a Che Guevara, e fino a Diego, l’Argentina ha sempre mostrato una predisposizione a identificarsi nei suoi miti, geniali e maledetti, sull’onda delle emozioni. Il sessanta per cento degli argentini ha origini italiane: facile capire.
Dire Pecho frio significa etichettare una persona come fredda e lontana, sottintendere che è poco coinvolta, che non sta dando l’anima per la causa come gli altri, capaci invece di emozioni e contagi da pelle d’oca. L’infinita rincorsa tra Maradona e Messi, il tormentone mai risolto sul chi-è-più-grande, non è solo la somma di titoli vinti e gol segnati ma gioca anche, inesorabilmente, attorno a questa cosa impalpabile e fortissima, la capacità di creare e trasmettere emozioni. L’ultimo miracolo di Messi, nella sua notte più lunga, è stato quello di trasformare una catastrofe nazionale in un trionfo storico, che ha convinto anche il presidente argentino, Mauricio Macri, a dire che chi discute Messi, oggi, è fuori dal mondo. Davanti al dramma di rimanere esclusi da Russia 2018 – ipotesi tanto più concreta dopo il gol dell’Ecuador al primo minuto – Leo si è messo a giocare il suo miglior futbol. Ha rovesciato il destino con tre gol divini e normali, vincendo da solo la partita più importante con un’epica molto discreta. Dios è così: la banalità del bene. Messi finora ha firmato 44 triplette, ma questa rimarrà nella storia, preziosa e intangibile come le “piccole cose” che Simone Weil ci ha insegnato a rispettare. Così con quegli occhi rossi, dopo aver salvato la patria, Leo ha agguantato Diego. “Un Mondiale senza Maradona è come una festa senza le donne” diceva uno striscione in uno stadio negli anni Novanta. Vale anche per Messi. Pensa te cosa può succedere se poi in Russia lo va a vincere, anche lui, il Mondiale.