La Gazzetta dello Sport

IL DIO MESSI E LA BANALITÀ DEL BENE

- twitter: @AdeCal IL COMMENTO ALESSANDRO DE CALÒ di

Passando attraverso la sua notte più lunga, ai quasi tremila metri di Quito, Messi esce con un profilo da gigante dopo aver trascinato l’Argentina al Mondiale. Grazie a Dios, scrivono a Buenos Aires e dietro a quella D spunta il faccione di Leo, il sorriso disegnato dalla barba che alla fine ha asciugato tutto: sudore e forse anche due lacrime di commozione e di gioia, rare e preziose per l’asso del Barça. Pecho frio dicevano di lui gli argentini, abituati a nuotare nei melodrammi. Sulle colonne sonore dei loro tanghi, cantano nostalgie e aspettano apparizion­i. Maradona piangeva trascinand­o il suo corpo ingombrant­e nell’infinito giro d’onore alla Bombonera, il giorno dell’addio al calcio, e non riusciva ad andare via. Piangeva e stava là. Sono passati sedici anni, ma mi ricordo come un brivido le facce e gli occhi gonfi di migliaia e migliaia di ragazzi, il muro di folla che piangeva con lui. Bella gente, tanti figli della media borghesia che, a quei tempi, a Buenos Aires esisteva ancora. Da Evita a Peron, da Gardel a Che Guevara, e fino a Diego, l’Argentina ha sempre mostrato una predisposi­zione a identifica­rsi nei suoi miti, geniali e maledetti, sull’onda delle emozioni. Il sessanta per cento degli argentini ha origini italiane: facile capire.

Dire Pecho frio significa etichettar­e una persona come fredda e lontana, sottintend­ere che è poco coinvolta, che non sta dando l’anima per la causa come gli altri, capaci invece di emozioni e contagi da pelle d’oca. L’infinita rincorsa tra Maradona e Messi, il tormentone mai risolto sul chi-è-più-grande, non è solo la somma di titoli vinti e gol segnati ma gioca anche, inesorabil­mente, attorno a questa cosa impalpabil­e e fortissima, la capacità di creare e trasmetter­e emozioni. L’ultimo miracolo di Messi, nella sua notte più lunga, è stato quello di trasformar­e una catastrofe nazionale in un trionfo storico, che ha convinto anche il presidente argentino, Mauricio Macri, a dire che chi discute Messi, oggi, è fuori dal mondo. Davanti al dramma di rimanere esclusi da Russia 2018 – ipotesi tanto più concreta dopo il gol dell’Ecuador al primo minuto – Leo si è messo a giocare il suo miglior futbol. Ha rovesciato il destino con tre gol divini e normali, vincendo da solo la partita più importante con un’epica molto discreta. Dios è così: la banalità del bene. Messi finora ha firmato 44 triplette, ma questa rimarrà nella storia, preziosa e intangibil­e come le “piccole cose” che Simone Weil ci ha insegnato a rispettare. Così con quegli occhi rossi, dopo aver salvato la patria, Leo ha agguantato Diego. “Un Mondiale senza Maradona è come una festa senza le donne” diceva uno striscione in uno stadio negli anni Novanta. Vale anche per Messi. Pensa te cosa può succedere se poi in Russia lo va a vincere, anche lui, il Mondiale.

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