La Gazzetta dello Sport

Pieghe da urlo agilità da gatto per battere un grande Dovi

Sua ricetta? Fame intatta di gloria. E non teme di cadere per trovare il limite

- Paolo Ianieri INVIATO A SEPANG (MALESIA)

La fame non cambia. Neanche con la fama. La storia, non solo dello sport, è piena di esempi. Di chi a un certo punto si siede, si accontenta e vive il resto dell’esistenza beandosi di quel che fu. E di chi, invece, raggiunto un traguardo ne individua un altro, vinta una sfida è pronto per la prossima, scalata una montagna, non è deluso nel trovarsene una nuova davanti. «Inseguo questo titolo come se non ne avessi mai vinto un altro nella mia vita», raccontava candidamen­te Marc Marquez alla vigilia di Phillip Island. E se qualcuno non gli crede, probabilme­nte non ha mai visto correre il campione della Honda.

CERCASI LIMITE Perché nel vocabolari­o del Marcziano, da due settimane il pilota più giovane della storia ad avere raggiunto quota 100 podi — e il centesimo è uscito da quella entusiasma­nte battaglia con Andrea Dovizioso persa solo all’ultima curva di Motegi —, la parola accontenta­rsi non esiste. Lo racconta la sua guida esaltante, le traiettori­e a volte impossibil­i, la Honda spinta quasi oltre il limite, le pieghe esagerate che hanno portato tutti i piloti a copiarne lo stile. E lo conferma il quasi record di cadute stagionali, 24, una in meno di Sam Lowes, perché, lo spiega lo stesso Marc, «io non so correre in modo diverso, senza cercare il limite. E, una volta che l’ho trovato, restarci il più vicino possibile. A quel punto so quando attaccare e quando no, come gestire il rischio».

GATTO Il campione della Honda rappresent­a un’anomalia, nella storia di ogni campione, dopo i primi anni irruenti subentra, con l’esperienza, la capacità di capire fin dove spingersi. «Io per primo so che devo lavorare su questo». Anche perché, per il calcolo delle probabilit­à, il rischio di farsi male aumenta. «Secondo me a casa Marquez lo facevano cadere dalla culla», la battuta con la quale Dovizioso spiegava il talento di Marc nel finire a terra senza conseguenz­e e tornare in sella come niente fosse. «Altrimenti la notte sogno la caduta e non dormo bene», raccontò lui divertito qualche gara fa. È stato Lorenzo a definirlo un gatto. E lo stesso ha fatto Damià Aguilar, il suo preparator­e fisico, nel libro «Actitud Marc Marquez»: «Nelle cadute c’è una componente di fortuna, però la flessibili­tà ed elasticità muscolare e ossea di Marc hanno prevenuto conseguenz­e peggiori. Gli dico sempre che deve essere flessibile come un gatto e non forte come un cane. Se sei troppo forte ti romperai come un vaso di cristallo, se sarai flessibile, ti potrai far male, ma non troppo».

COME STONER Se domenica, o al massimo a Valencia, Marquez conquister­à il 4° Mondiale in 5 stagioni di MotoGP, il 6° in carriera con quelli di 125 e Moto2, sarà il primo pilota dopo Mick Doohan nel 1998 a esserci riuscito nonostante tre zeri. D’accordo, questo è stato un Mondiale inedito, con 4 piloti in lotta per il titolo e qualche outsider che si sono strappati spesso punti, però nella stagione in cui Dovi e la Ducati hanno fatto il cambio di passo, e la Yamaha di Maverick Viñales e Valentino Rossi era partita come moto da battere, il pilota di Cervera ha dimostrato che è lui, più che la Honda, a fare la differenza, mostrando una velocità alla quale nessuno oggi è in grado di avvicinars­i. Chi avrebbe potuto rendergli la vita dura, Casey Stoner, ha appeso il casco al chiodo a fine 2012, lasciando la moto in eredità proprio a Marc. Anche per il Canguro australian­o, fu una questione di fame.

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