Bernal, la salita è casa sua Per Sky è il nuovo Froome
1Colombiano, scalatore, giornalista mancato, è nato il 13 gennaio come Pantani e ha valori fisici impressionanti. «Ma devo migliorare in tutto»
Avere vent’anni. Essere nato lo stesso giorno – il 13 gennaio – di Marco Pantani e riconoscere nella salita il terreno privilegiato per esprimersi, come il Pirata. Trovarsi in tasca un contratto triennale con il team Sky dopo una stagione vissuta da rivelazione. Egan Bernal ha diversi buoni motivi per trovarsi al centro dell’attenzione, una calma e un’educazione che sembrano superiori alla media e un’ambizione. «Scrivere un tweet dicendo che Bernal è il nuovo Quintana è facile. Diventarlo davvero… tutta un’altra storia. Però io ho fiducia in me stesso, e nelle possibilità che ho di diventare un buon ciclista».
SCOPERTA
In Italia lo ha portato Gianni Savio, dopo una segnalazione del procuratore Paolo Alberati. È un pezzo che il team manager dell’Androni-Sidermec ne magnifica le doti, compreso l’ormai famoso dato del consumo massimo di ossigeno. «A 19 anni aveva 88,8 millilitri per chilo di peso. Per fare un paragone, Froome a 22 anni era a 84,6 e nel 2016 a 88,2». È un pezzo che lo descrive come un campione del futuro. Egan, che sabato 7 ottobre ha chiuso 13° il duro Lombardia (primo Monumento da lui disputato), si è ‘sdebitato’ vincendo il Tour de l’Avenir con la Colombia e trascinando la squadra di club alla vittoria nella Ciclismo Cup che darà l’accesso al Giro d’Italia 2018, prima di salutare in anticipo ma per un’ottima ragione: il team Sky, la squadra-referenza nel mondo. E a proposito: il team britannico sta dimostrando di pensare non solo al domani ma al… dopodomani. Ha ingaggiato, oltre a Bernal, il russo Sivakov, re del Giro d’Italia under 23, e il norvegese Halvorsen, iridato Under 23 nel 2016. Occhio agli anni di nascita di questi tre ragazzi: 1997, 1997, 1996. Ormai Sky non punta più solo sul Tour (in queste ultime due stagioni ha conquistato Liegi, Sanremo, Vuelta) e non ci sarà da stupirsi quando l’azienda annuncerà il prolungamento della sponsorizzazione oltre il già stabilito 2020.
BASI
Bernal intanto ha fatto base in Piemonte. L’abbiamo incontrato in un ristorante di Cuorgnè, dove è di casa come in altri luoghi della zona. A Rivarolo Canavese, a fine stagione, gli hanno riservato la sala del consiglio comunale per una bella festa. «È nato anche un fan club — racconta Bernal, che in Italia vive con la fidanzata Xiomara —. Il presidente è Vladimir Chiuminatto e la finalità, oltre al tifo, sarà raccogliere fondi da destinare a una scuola di ciclismo colombiano». Egan è di Zipaquira, nel Diparimento di Cundinamarca, a 50 km dalla capitale Bogotà: 120.000 abitanti, 2.650 metri sul livello del mare. Papà German (che pure correva in bici, senza mai diventare pro’) faceva il guardiano della Cattedrale del Sale, una delle meraviglie del Paese. «Ora ha cambiato, fa sempre il guardiano, ma al Parco Naturale del Neusa. Un posto tranquillo, favoloso. Spera di lavorare lì per molti anni», spiega Bernal che prima di dedicarsi al ciclismo a tempo pieno studiava scienze delle comunicazioni. «Ma non era facile, andavo ai corsi dopo essermi allenato e magari, per pochi minuti di ritardo, mi mettevano delle note. Io andavo forte in mountain bike e Pablo Mazuera, il mio team manager, riuscì ad assicurarmi un piccolo stipendio. Se fosse dipeso solo da me, forse avrei mollato. Grazie al suo aiuto, ho continuato». Egan avrebbe voluto fare il giornalista. «Molti credono che avrei voluto scrivere di sport, ma non è così. Ho seguito qualche volta i lavori in Parlamento, mi sarebbe piaciuto occuparmi di politica. Il giornalista secondo me ha una funzione-chiave della società. Deve raccontare la verità, quello che è giusto, quello che è sbagliato, aprire gli occhi alla gente».
Bernal non è spaventato dal grande salto a Sky. «Ho parlato con i colombiani che ne fanno parte. Non sono extraterrestri. Non fanno cose dell’altro mondo. Anzi, ho visto che hanno fatto crescere uno come Moscon in maniera molto graduale. Io posso e devo migliorare in tutto. Sono venuto in Europa, vivo lontano dalle mie origini e non è facile. È una lontananza geografica, ma anche culturale. Per sopportare questo, ci vuole una grande determinazione. Io ce l’ho». Sarà per questo che la stretta di mano finale dà la sensazione dell’arrivederci.
SALTO