LE CURVE, LA KING E LE «QUASI VERITÀ»
Se non si è convinto di essere stato un poco distratto allo stadio leggendo i giornali di ieri, credo che non ci sia null’altro da fare. La sua lettera mi serve per far capire ai lettori di buona volontà che aria narrativa tira fra quelle persone (non generalizziamo: proprio quelle). Per il resto, temo che fra tre giorni sul «caso Anna Frank» cali un rapido silenzio, com’è accaduto mille volte in passato. E dentro le curve, in cui lo Stato continuerà a non entrare, permarrà quel clima malsano che conosciamo. Mia opinione è che basterebbe utilizzare in tutti gli stadi d’Italia il metodo PSG, quando il grande club parigino, per stroncare i problemi di una frangia del tifo organizzato, decise di vendere i biglietti in modo casuale. Senza la garanzia di essere in branco, infatti, i mascalzoni vengono quasi del tutto disattivati. Del resto avete mai sentito parlare di una curva di uno stadio della Premier? Vi risultano problemi cronici di tipo italiano negli impianti della Liga? A mio avviso è lo stesso concetto di curva che dovrebbe sparire, restituendo il tifo alla sua spontanea e rumorosa genuinità. Ma nessun segnale, nemmeno di tendenza, si avverte in questa direzione. In compenso si è rottamata in pompa magna (alla presenza di ministro, presidente del Coni e della Federcalcio) la tessera del tifoso, alla lunga inefficace, in cambio di un «codice etico» di cui abbiamo visto la prima utilità. Nulla anche sull’altro versante, quello educativo. La ministra Fedeli non ha ritenuto di raccogliere la nostra proposta di avviare una vera e propria educazione al tifo dalle scuole elementari in su. Va tutto bene, no? Ho appena visto «La battaglia dei sessi», incuriosita dalla sua recensione: non conoscevo la storia di questa tennista. Concordo con i suoi giudizi, ma quali sono le imprecisioni a cui alludeva? Ed è vero che l’altra campionessa, Margaret Court, nella vicenda ha svolto la parte della «cattiva»?