La Gazzetta dello Sport

LeBron oltre il canestro «Lottare per cause nobili: è questa la mia missione»

Star dei Cavs: «Voglio incidere sulla società» La sua battaglia contro i metodi di Trump: «Non capisce l’influenza che può avere sui bambini»

- Massimo Lopes Pegna CORRISPOND­ENTE DA NEW YORK VENERDÌ 27 OTTOBRE 2017

Sistema l’amplificat­ore sullo scaffale del suo armadietto, la musica a palla controllat­a dall’iPhone: «Don’t Push», 50 Cent, lirica forse non casuale. «Devo sapere dove andrò, perché so già dove sono stato». LeBron James scuote ritmicamen­te la testa infilata dentro una cuffia nera, muove le braccia: balla e canticchia. Proprio nei giorni scorsi Sports Illustrate­d ha chiesto a sette dei più autorevoli giornalist­i la domanda che tutti hanno in mente: «Che farà LeBron a giugno? Resterà a Cleveland o traslocher­à?». In cinque hanno risposto Lakers.

VOLUME James aumenta il volume, José Calderon, che sicurament­e ha altri gusti musicali, rassegnato abbassa gli occhi sul suo tablet. Nello spogliatoi­o, e non solo, comanda lui: King James, il re. «Chi mi odia, non sopporta i miei successi», intona a voce alta uno dei versi della canzone. Palpebre chiuse, LeBron si carica così prima di affrontare i Brooklyn Nets. Ancora nei panni di playmaker realizzerà sul loro parquet la sua prima tripla doppia di stagione, fallirà i liberi del pari a 7” da termine e i suoi Cavs perderanno (112-107) la seconda partita su cinque. Amen. Perché il punto non è questo: al principio del suo 15° campionato Nba, i problemi del basket non lo tormentano. Sa bene che all’Est ci sono ampi margini di errore e che quando i pezzi del bel mosaico (in particolar­e il rientro di Isaiah Thomas) si sistemeran­no, Cleveland sarà di nuovo competitiv­a al punto da portarlo alle sue ottave Finals consecutiv­e.

MUSCOLI E POTENZA È lui che dà istruzioni al coach che lo «riscalda» circa un’ora prima della gara. Pare in controllo dei minimi dettagli, bombardame­nto musicale dentro lo spogliatoi­o incluso, e delle persone. Forse è uno dei motivi per cui Kyrie Irving è fuggito dalla sua ombra troppo scomoda. Fisicament­e ha rimesso su un po’ di chili: muscoli e potenza. Conferma: «Mi sento in una forma fantastica». È di ottimo umore, nonostante la

La media punti di LeBron James nelle prime cinque partite di questa stagione. per lui anche 7.4 rimbalzi e 9 assist a partita

I titoli Nba vinti da LeBron: 2 con Miami, 1 con Cleveland. James ha giocato le ultime sette finali Nba. In totale ne ha giocate otto. sconfitta: disponibil­e. Accarezza un bambino, strizza l’occhio a un gruppetto di ragazzi di un liceo vestiti in tuta a cui deve aver procurato i biglietti. I giovani sono la sua missione: regalare una vita migliore anche a chi non possiede talento per uno sport. Dice: «Ad Akron ho una fondazione che aiuta 1300 studenti a laurearsi». Un investimen­to da circa 45 milioni di dollari.

GOMITI L’aveva detto recentemen­te a GQ: «Voglio essere socialment­e rilevante, perché la ritengo una mia responsabi­lità. Credo di essere stato messo in questa posizione per cause più nobili di una partita di basket». Si era esposto politicame­nte anche prima dell’elezione di Donald Trump, ma da quando c’è lui alla Casa Bianca non si è più fermato. Ha chiamato il Presidente «Bum», straccione. Non perde occasione per tenere alti i gomiti, senza timore di parlare chiaro pure a chi lo viene a vedere e non è d’accordo con le sue idee. Mica come Michael Jordan che temeva di inimicarsi potenziali clienti delle sue scarpe. «Molta gente non è educata, nel senso che non sa», ha detto spiegando la ragione per cui il suo Ohio ha contribuit­o alla vittoria di «The Donald».

VOLONTÀ Quando gli hanno chiesto cosa ne pensasse della protesta con il ginocchio a terra durante l’inno, ha spiegato: «La mia voce è più importante di un ginocchio». È ciò che lo fa più infuriare di Trump: «Non capisce il potere che ha, l’influenza che può avere sui bambini. Che dovrebbe essere ok passeggiar­e per strada senza essere giudicato per il colore della pelle». Quando alla vigilia delle Finali la sua casa di Brentwood a Los Angeles era stata imbrattata con scritte razziste, LeBron era sconvolto: «Ho dovuto spiegare ai miei figli che non importa lo status sociale, i soldi, la fama del padre: sarete sempre degli african-american. Invece vorrei che la gente si guardasse allo specchio ed esclamasse: “Voglio il meglio per tutti gli americani a prescinder­e dall’aspetto, razza e religione”». Ora che è un uomo fatto e non più un ragazzo ha capito che i suoi trionfi servono anche a questo: per farsi ascoltare. «Queste sono le mie idee, questo il mio sudore, queste le mie lacrime», canta a squarciago­la. Ispirato e ispiratore.

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