La Gazzetta dello Sport

Venus illuminata è in semifinale «E non mi fermo»

Lezione alla Muguruza: «Il segreto? Frutta e verdura»

- Riccardo Crivelli

E’il 1999. Le luci di New York, la casa più eccitante per il Masters femminile. Diciotto anni fa. Nello sport, e nel tennis, un’eternità. In semifinale, la teenager Martina Hingis, il più precoce fenomeno di sempre, batte la coetanea (entrambe sono del 1980) Venus Williams, ma nella sua testa e nei suoi muscoli già avanza la convinzion­e che la potenza delle sorelle americane (sul circuito si è già affacciata con successo anche Serena) non potrà essere gestita a lungo dal suo gioco classico e lineare.

IMMORTALE E’ il 2017. Un altro secolo. Venus e Martina si ritrovano di nuovo alle Finals, come se il tempo si fosse cristalliz­zato. La svizzera ormai gioca soltanto il doppio, ma nella disciplina è ancora la numero uno del mondo. Dopo una vita di tanti lustrini e qualche ombra di troppo, annuncia che in ogni caso questo sarà il suo ultimo torneo. Si ritira. Per sempre (dice). E Venere? Lei ha deciso di riscrivere la storia. Non le basta tornare al Masters dopo otto anni, non le basta giocarlo nella quarta città diversa (New York, Los Angeles e Doha le altre), non le basta essere la terza più vecchia dopo King e Navratilov­a ad aver acchiappat­o la qualificaz­ione. Per la quinta volta su cinque (1999, 2002, 2008, 2009 e appunto quest’anno) si regala pure le semifinali, nonostante il brutale avvio (secca sconfitta in due set) contro la Pliskova. In due giorni, batte la Ostapenko, che le rende 17 anni d’età, e poi si prende la più dolce delle rivincite sulla Muguruza, che l’aveva stoppata in finale a Wimbledon. La partita contro la lettone, durata 3 ore e 13 minuti, è stata la più lunga (nel format due set su tre) nell’ormai pluriquara­ntennale avventura del torneo, ma la Williams, che dal 2011 soffre della debilitant­e sindrome di Sjoegren, prende la spagnola per la gola, dominandol­a anche fisicament­e. Si chiama passione. Si chiama immortalit­à: «Perché ho avuto una carriera così lunga? Uso molta protezione solare, mi proteggo contro le insolazion­i, mangio tanta frutta e tanta verdura. Queste sono le chiavi del mio successo».

A CASA Come se la classe, cristallin­a ed esaltante, seppur tormentata dagli infortuni e dall’incubo di una malattia che si può curare ma non guarire, non contasse. E invece nel testa a testa, nel dentro o fuori, perché la situazione di classifica rende l’incrocio con la Muguruza a tutti gli effetti un quarto di finale, Venus è ancora capace di esaltarsi e di esaltare, di trovare angoli terribili e di rispondere sui piedi di Garbine, di certo menomata dai guai alla gamba sinistra ma costretta a cedere cinque volte il servizio e soprattutt­o a rinunciare al numero uno di fine stagione, soggiogata dalla personalit­à e dalle bordate di una campioness­a eterna: «Non mi piace mai tornare a casa dopo una sconfitta, perciò sapevo quale fosse la posta in gioco. Qui ci sono le otto più forti del mondo e ho giocato contro una ragazza che in stagione ha raggiunto il numero uno del mondo, perciò sono molto felice che l’ultimo punto l’abbia vinto io. Non è mai facile, al Masters devi provare a giocare bene ogni punto di ogni partita, altrimenti finisci per perdere. Ma mi sono allenata bene prima della partita contro Garbine, perciò spero di vincerne ancora qualcun’altra». Nell’altro gruppo, il Rosso, dietro la Wozniacki già qualificat­a (ma non ancora sicura del primo posto), restano tutte in corsa. Queen V, la Regina Venus, attende con la calma dei forti. Diciotto anni fa era una ragazzina dirompente, oggi è una donna che le traversie della vita hanno temprato e addolcito. Senza toglierle il più prezioso dei doni: un talento infinito.

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Venus Williams, 37 anni, ha vinto il Masters una volta, nel 2008

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