La favola di Takam: «Vado all’attacco e batto Joshua»
Dai Cherchi, porterà sul ring un po’ di Italia: «Amo le pappardelle»
Una telefonata magari non allunga la vita, ma certamente può darle una sterzata decisiva. Non è mai troppo tardi per le favole, anche se ti stai avvicinando ai 37 anni e il tempo dei sogni sembrava dietro le spalle. Carlos Takam è figlio dell’Africa, precisamente del Camerun (Douala), ma si è costruito un’eccellente cammino nei massimi in Francia, il paese d’adozione e domani sera a Cardiff, per il Mondiale Wba, Ibf e Ibo contro il nuovo re della categoria, Anthony Joshua, porterà sul ring un po’ di Italia. Perché è gestito dalla famiglia Cherchi e nella palestra del manager milanese ha preparato molti degli ultimi match. Ora può giocarsi la mano di poker che vale una carriera, dopo che Pulev, lo sfidante scelto dal britannico, ha dato forfeit a un mese dalla sfida: quando dall’altra parte del filo gli hanno chiesto se fosse pronto, Takam ha usato solo un monosillabo: «Sì». E per Salvatore Cherchi non è finita qui: «Ha pugno e buoni movimenti, può battere Joshua».
Carlos, come sta vivendo la vigilia di un match così importante?
«Molto serenamente. Sono stato accolto molto bene, non ho avuto problemi con la preparazione perché mi stavo allenando per sostenere un altro match, anche se ovviamente ho dovuto cambiare impostazione. E’ sicuramente il match più importante della mia carriera, e sono nelle condizioni ideali per affrontarlo».
Ha studiato Joshua? Ha individuato i suoi punti deboli?
«Ho analizzato al video il suo incontro con Klitschko, ha vinto ma è finito al tappeto. Significa che non è invincibile, che in difesa può essere sorpreso e soffrire la mia potenza. Anthony è un campione, si è meritato i titoli, ma posso batterlo».
Però lei gli rende 11 cm, e quindi dovrà per forza avanzare e scoprirsi per cercare la corta distanza.
«Ho affrontato pugili più alti di lui, come Thompson e Grant, e li ho battuti. Non sarà un problema, non sono un attendista e mi piace la battaglia intelligente».
I 70.000 di Cardiff saranno un fattore contro di lei?
«Combattere in casa, e davanti a un pubblico così, ti offre senza dubbio un grande vantaggio.
Però so anche che gli inglesi apprezzano lo spettacolo, applaudono gli avversari leali e riconoscono il valore di uno sfidante, anche se dovesse risultare più forte del loro campione. E io mi farò applaudire».
Ci sono pugili a cui si ispira?
«Ognuno cerca di costruirsi uno stile proprio, anche se può apprezzare altri modelli di pugili. A me, per esempio, per forza e personalità è sempre piaciuto Ray Sugar Leonard».
Sente l’orgoglio di rappresentare l’Africa?
«Profondamente. Ho ricevuto centinaia di messaggi dagli amici che ho ancora là, la vittoria sarà anche per loro».
Ma sul ring porterà anche un po’ di Italia...
«Ringrazio la famiglia Cherchi per l’opportunità. Il vostro paese è splendido, ammiro la vostra cultura, ogni angolo ha un monumento o un ricordo storico. E poi il cibo... Vado matto per le pappardelle».
Perciò il primo match da campione sarà in Africa o in Italia?
«Bella domanda (sorride, ndr). In Africa non ho mai combattuto, e ho promesso di farlo prima o poi. Diciamo Africa, ma quello dopo lo faccio da voi».