Rebellin infinito «A 46 anni corro senza pormi limiti»
Pronto alla 25a stagione pro’: «I record di longevità non mi interessano. Il ritiro? Io vivo alla giornata»
«Festeggiare i 50 anni in gruppo? Non so se succederà, non è un traguardo che mi sono posto. Ma mi dico, perché no? Di sicuro, è possibile». Il paradosso è che quella di Davide Rebellin non è una provocazione. Nonostante cifre, numeri, date. Il vicentino è nato il 9 agosto 1971, è passato professionista dopo i Giochi Olimpici di Barcellona (1992) e, pochi giorni fa, ha trovato squadra anche per il 2018: il team Continental (la terza fascia del ciclismo) Natura4Ever-Sovac, di matrice belga e licenza algerina.
Rebellin, come è nata questa possibilità?
«Da qualche anno, a fine stagione, il team manager Geoffrey Coupé mi contattava. Voleva che firmassi per un suo team prima di smettere. È più giovane di me (classe 1981, ndr), è stato corridore e mi vedeva come un idolo. Ho bussato a diverse porte, pure italiane, ma non ho trovato riscontri. Mi sono pure proposto al nuovo team Professional francese di Pineau. Tra le possibilità che avevo, questa era la più interessante. Potrei restare con loro anche dopo che mi sarò ritirato».
Cioè quando? Il 2018 sarà l’ultima stagione?
«Non lo so. Vivo di anno in anno, anzi di giorno in giorno. Non ho un traguardo, non ho un limite. Se cominciassi a non finire le gare, a non essere più all’altezza… allora sì che smetterei. Per ora non è così».
È vero, è ancora competitivo. Ma lei, che ha corso e a volte vinto le gare più importanti al mondo (col tris Amstel-Freccia-Liegi nel 2004 in 8 giorni; ndr), ora fa un calendario di seconda e terza fascia. Nel 2018 ha vinto in Iran e in Indonesia. Che senso ha?
«Il senso si trova dentro di me. È una cosa innata. Mi attacco il numero sulla schiena e mi viene da dare sempre il meglio. Do importanza a quello che faccio in ogni circostanza. Ci metto cuore e passione».
Non sente scetticismo attorno? Non teme di risultare ridicolo?
«No. Sento piuttosto incoraggiamento, anche via social, che arriva da chi mi considera un esempio. Anche per i più giovani. E l’atmosfera è bella pure in gara. Gareggio contro atleti che potrebbero essere miei figli e mi dicono parole belle. All’età non ci penso mai, se non per le cose buone che mi porta: l’esperienza, la riflessività, la cura dei dettagli».
Con la maglia della Kuwait-Cartucho, nel 2017, ha disputato diverse gare ‘esotiche’. Quali sono state le più particolari?
«Il Tour of Qhingai Lake, in Cina, oltre i 4.000 metri di altitudine. Gara estrema, sforzi pazzeschi. Ho scoperto l’Indonesia: salite impressionanti, più del Mortirolo, come lo Zoncolan. Paesaggi diversi, affascinanti. E magari le scimmie, quelle vere, che attraversano la strada mentre pedali».
Cosa ne sanno lì del ciclismo?
«Magari non ci conoscono, ma c’è tanto entusiasmo. Per loro sono eventi. L’organizzazione è buona, l’atmosfera molto meno stressata che in Europa. A volte sembra di respirare aria di vacanza».
Le domande su età, ritiro e affini si ripetono sempre: l’hanno stancata?
«Ma no, le considero normali. Non è usuale che ci sia un professionista della mia età».
Non le interessa battere i record di longevità?
«È l’ultima cosa a cui penso. I numeri mi annoiano, se mi chiedono l’età a volte non rispondo subito, devo pensarci. È il piacere a guidarmi».
Non le mancano le grandi corse? E se potesse disputarle, fino a dove potrebbe arrivare?
«Sì che mi mancano. Beh, quest’anno al campionato italiano, sebbene non avessi disputato gare nei 20 giorni precedenti, ho chiuso decimo. Penso che potrei essere competitivo anche in corse di alto livello».
Quali gare le mancano di più?
«Sanremo e Freccia Vallone. In generale, rimpiango negli ultimi anni di non avere corso molto in Italia. Per questo ho sperato in un team italiano. Nel 2018 il debutto dovrebbe essere a fin e gennaio allo Sharjah Tour, negli Emirati Arabi. E spero che l’opportunità di correre in Italia venga fuori».
Alla positività ai Giochi di Pechino 2008, mai accettata, che le è costata la medaglia olimpica e una squalifica, pensa ancora?
«No. Certo, è un episodio che mi ha condizionato la carriera. Ho trovato tante porte chiuse. Ma io guardo avanti. E sono felice».