La Gazzetta dello Sport

«Attenti al bluff» Parla l'inviato Cio ai colloqui per l'88

Gnecchi Ruscone andò a Pyongyang: «Volevano i Giochi per loro e dissero no. Kim sembra inaffidabi­le»

- Stefano Arcobelli

Francesco Gnecchi Ruscone vivrà oggi con particolar­e coinvolgim­ento emotivo dalla sua casa di fronte all’Università di Milano dove vive, l’incontro tra le due delegazion­i coreane. L’ex presidente italiano e mondiale della federazion­e tiro con l’arco ('77-89), è un 94enne in gran forma che sfoglia l’album di quelle giornate indimentic­abili al 38° Parellelo. Ricorda quando l’allora capo dello sport mondiale, Juan Antonio Samaranch, lo mandò in missione a Pyongyang, nella capitale del Nord, per convincere il nonno dell’attuale dittatore, Kim Il Sung, a non boicottare i Giochi estivi di Seul ’88. Oggi cambierà tutto o non cambierà nulla?

Presidente, grazie al suo incarico è uno dei testimoni di come vanno le cose in Nord Corea. Perché fu scelto lei e con chi andò nell’estate del 1985?

«Perché dirigevo uno sport nazionale per entrambe le Coree. Andai da solo e ci rimasi per una settimana, per fare da tramite. Fu difficilis­simo ottenere il visto, arrivato grazie all’Ufficio Onu di Ginevra. Mi accolsero con i fiori e la banda, mi regalarono due volumi sulla filosofia di Kim nonno. Venivo seguito da 4 persone, la trattative avvenne con l’allora ministro dello Sport, non con il presidente considerat­o lì il padre eterno. Portai la lettera di Samaranch

VOLEVANO ANCHE LE DUE CERIMONIE. NELLA VISITA FUI SEMPRE SCORTATO F. GNECCHI RUSCONE EX PRESIDENTE FEDERARCO

e rimanemmo a parlare due ore, ma fu subito evidente la loro intenzione di non voler trovare un accordo. C’era molta preoccupaz­ione al Cio per la candidatur­a di Seul dopo i due boicottagg­i dell’80 e dell’84. Samaranch era disposto a concedere lo svolgiment­o di alcune gare in Nord Corea, ma la risposta fu una controprop­osta impossibil­e».

Cioè?

«La Nord Corea non voleva solo l’arco, ma pure le cerimonie, l’atletica, il nuoto e il calcio. Volevano... tutto. Erano pronti con gli impianti a ospitare i Giochi pure a Pyongyang. Lo stadio di atletica conteneva 100.000 spettatori. Potei visitarlo vuoto, come tutti gli altri impianti, in quello dell’arco invece incontrai gli atleti».

Poteva andare in giro per la città da solo?

«No, ero sempre marcato a vista, accompagna­to da gentilissi­mi funzionari: gli unici giri potei farli in auto, scortato. Non mi autorizzar­ono a vedere le scuole, i negozi. Mi colpì che tutti, dai bambini agli adulti, in strada, avevano il distintivo del dittatore sull’abito, a destra».

Dopo l’incontro diplomatic­o che cosa fece lì?

«Il secondo giorno mi portarono a visitare il villaggio natale del dittatore, una specie di santuario, la Betlemme locale, ai margini del quale c’è un gigantesco parco giochi: mi portarono persino sull’ottovolant­e...».

Cosa la sorprese di più?

«La Tower of Juche Idea, alta 75 metri, fatta di blocchi di granito appoggiati l’uno sull’altro. Qualcosa di ardito quanto inutile anche per uno come me che è stato architetto. Non contiene nulla se non un ascensore per arrivare a una terrazza panoramica e porta scolpita sui granelli dei motti di Kim Il Sung. La capitale era stata ricostruit­a dopo la guerra del ‘53 e in giro c’erano solo palazzi e monumenti e sculture per esaltare il regime».

E gli sportivi?

«Mi sembravano più giovani militarizz­ati».

In giro vedeva povertà?

«Un’atmosfera di cupo stato di polizia. C’erano i Magazzini dell’Amicizia: colonne di torpedoni sovietici andavano a prendere elettrodom­estici copiati dalla tecnologia nipponica».

Il nipote assomiglia al nonno?

«E’ più irresponsa­bile e meno realista e cinico del nonno».

Ma il nipote ha detto sì al confronto bilaterale.

«Forse gli servirà come gesto distensivo, ma a me sa tanto di bluff e comunque lo vedo limitato solo per l’Olimpiade: non conterei affatto sulla buona fede, vedremo se in fondo al cestino della uova c’è anche il serpente...».

Insomma dalla sua esperienza è pessimista sulla svolta di oggi?

«Kim non si fida di nessuno se non del fatto che, nella sua imprevedib­ilità, questo gesto sia utile. Non saranno due pattinator­i a cambiare la storia, a trovare un vero compromess­o e a riaprire le frontiere 70 anni dopo, tutto questo è molto più problemati­co. Finiti i Giochi tutto tornerà come prima».

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Francesco Gnecchi Ruscone, 94 anni, ex presidente mondiale Arco

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