ALLENATORI, VALORI PIÙ O MENO AGGIUNTI
Da valore aggiunto a valori da aggiungere, la carriera dell’allenatore rimbalza sempre fra un estremo e l’altro. Valore aggiunto, quando le cose vanno così bene che sembra tutto merito suo. Valori da aggiungere, non appena il rendimento complessivo della squadra flette e allora parte, implacabile, il tam tam del mercato: perché sì, il risultato «raggiunto» non combacia più con il valore «aggiunto». Un bel mistero. Un bel guaio.
Il caso più emblematico riguarda Luciano Spalletti, la cui Inter si alzò dai blocchi come pochi avrebbero immaginato - quattro vittorie consecutive - e fino allo 00 strappato alla Juventus comandò la classifica in barba alle griglie d’agosto. Era il 10 dicembre. Improvvisamente, l’eclissi. Il Pordenone e il derby di coppa, le sconfitte con Udinese e Sassuolo, i pareggi con Lazio e Fiorentina. Gol realizzati, due: entrambi da Mauro Icardi.
La formazione fissa e facilmente riconoscibile incarnava un segnale forte. Gli infortuni (di Joao Miranda, di Danilo D’Ambrosio) hanno contribuito a spezzare l’incantesimo. Il concetto di panchina corta, pur in assenza di impegni europei fin dall’estate e di coppa domestica dai primi dell’anno, ha sfrattato l’ottimismo, ha rigato le conoscenze. Il calo di Antonio Candreva e le lune di Ivan Perisic hanno sabotato la velocità di crociera, al netto di quella zona Champions che rimane l’obiettivo manifesto. E così di Spalletti si continua a parlare, ci mancherebbe, ma non più come di un valore aggiunto. Semplicemente, come di uno zoppo che ha bisogno di stampelle, soprattutto al centro della difesa e sulle fasce. Prendete il Toro. Se c’era un giocatore che Sinisa Mihajlovic aveva imposto a Urbano Cairo era M’Baye Niang. Lo aveva avuto al Milan, ne conosceva le risorse spesso inesplose (se non, addirittura, inesplorate). Ebbene, non si ricorda un fiasco più clamoroso. Tanto che, non potendo licenziare la belva, il presidente ha esonerato il domatore. Sotto con Walter Mazzarri, un artigiano che da Livorno e Reggio Calabria a Napoli ha sempre valorizzato gli attaccanti, sordo alle etichette di bieco difensivista che i salotti radical-chic gli appiccicavano per pigrizia di pensiero. Casualmente, al suo debutto contro il Bologna, il migliore in campo è stato quel Niang che fin lì, con Miha, aveva tolto e mai aggiunto.
Napoli e Atalanta viaggiano ormai con il pilota automatico, felici di quello che fanno e felici, in particolare, perché fanno proprio quello. Maurizio Sarri e Gian Piero Gasperini non si limitano a gestire. Insegnano. Detestano le seduzioni del mercato, fedeli a costruzioni che non dipendono «solo» dal fatturato, ma si basano sul coraggio delle idee. Finché progetto non li separi.
Pep Guardiola e José Mourinho sono valori aggiunti che, per ribadirlo, hanno bisogno di trasfusioni seriali, di campagne capaci di garantire il meglio in ogni settore. Alla mensa della Juventus Antonio Conte sognava i ristoranti da cento euro dell’Europa più ricca e godereccia. Arrivato al Chelsea, ha adeguato la mira senza abbassare il tiro o l’invidia.
E Massimiliano Allegri? L’harem messogli a disposizione dalla società fa sì che il marchio di «valore aggiunto» sia molto ballerino, molto soggettivo. Come a Barcellona, là dove, per 160 milioni di euro, «tale» Philippe Coutinho ha affiancato Leo Messi e raggiunto Ernesto Valverde. Non risulta che il Barça fosse in crisi. O il tecnico scarso. Nel dubbio, però...