Salvoldi d’oro «MI VOLEVA LA CINA NON HO MAI AVUTO RAGAZZE COSI’ FORTI»
IL C.T. DEL BOOM ROSA È ANCHE ALLENATORE, ECONOMO E UN PO’ TOUR OPERATOR. SOPRATTUTTO, È IL PIÙ MEDAGLIATO IN ITALIA
Mentre le giovani velociste Elena Bissolati e Miriam Vece stanno concludendo l’allenamento, lui è risucchiato nel magazzino della Nazionale. Lunedì partirà con otto ragazze della pista per Minsk, ultima tappa della Coppa del Mondo. E il rituale della vigilia è quello di ogni trasferta. Ma che ci fa lì il commissario tecnico, come un meccanico o un massaggiatore, a scegliere ruote e corone, preparare integratori, imballare tubolari, allestire scatoloni? «Mi piace occuparmi anche di questo» dice Edoardo Salvoldi, detto Dino, il c.t. del ciclismo azzurro femminile: il più medagliato dello sport italiano. «Non mi sento affatto sminuito. E non lo faccio certo perché non mi fido degli altri: la fiducia nelle persone del mio staff è alla base della mia filosofia di lavoro». Manca un mese e mezzo ai Mondiali di Apeldoorn e la tensione è ancora lontana, ma il 28 febbraio in fin dei conti è vicinissimo. E la cura per ogni dettaglio è nel Dna del tecnico milanese.
Salvoldi, potrebbero essere Mondiali di grandi soddisfazioni. Se pensiamo a 4-5 anni fa...
«Sì, anche se il livello è sempre più alto. Ma noi siamo cresciuti molto e abbiamo forse i margini di miglioramento più ampi di tutti».
Pensa già a Tokyo 2020?
«È naturale. Ma questo gruppo di ragazze sarà maturo per sognare in grande solo ai Giochi di Parigi. E un po’ mi spiace, perché al 2024 manca ancora tanto. Se solo alcune di loro avessero 3-4 anni di più...».
Se a Tokyo arrivassero 3 meda- glie non ci sarebbe da stupirsi.
«Per certi versi no. Ma, per quanto possibile, è un obiettivo difficilissimo. Nell’inseguimento a squadre abbiamo fatti passi da gigante, lo dicono i tempi, i record del mondo juniores e le ultime medaglie, come l’oro bis agli Europei o il successo in Coppa. Ma Gran Bretagna e Australia restano su un gradino sopra a tutte, e per il terzo posto ce la giochiamo in tanti. L’omnium e l’americana hanno pure, al momento, atlete superiori, anche se in queste gare ci sono più variabili e si allarga il pronostico».
È il suo gruppo più forte?
«Beh, come gruppo sì. Ma, individualmente, la più forte di sempre non è tra queste ragazze. E’ Antonella Bellutti (oro olimpico ‘96 e 2000; ndr). Una così forte chissà quando rinascerà. I suoi 1400 watt di potenza non li ho più visti. In bici era un metronomo. La macchina perfetta. Aveva tutto. E una testa speciale. Ma non che alcune giovani siano da meno».
Come Balsamo e Paternoster?
«Per esempio. Loro non sono soltanto due talenti puri, che hanno un futuro anche su strada. Letizia, poi, è un animale da gara. Entrambe hanno una fame agonistica pazzesca. Anche se, a modo loro, diversa».
Dal 2001, tra pista e strada, Mondiali ed Europei, ha vinto 211 medaglie. Il 2017, con 32, è stato da record: soddisfatto?
«Molto, anche se poi si cerca sempre il massimo».
Tokyo 2020: che cosa la conforta e la preoccupa di più?
«Il bicchiere mezzo pieno è l’abbondanza, rispetto al passato, con cui posso lavorare. Abbondanza di quantità e qualità, che si traduce in più alternative: penso a un’influenza o a una caduta, prima avevo solo soluzioni di ripiego. Il bicchiere mezzo vuoto è che il sistema di qualificazione mi imporrà scelte dolorose. E pensando al quartetto, le meno giovani, o le meno adatte a correre anche americana e omnium, saranno disposte a sacrificarsi in questi due anni e mezzo, sapendo di avere meno chance rispetto alle giovani e alle compagne più poliedriche?».
Come si forma un gruppo così?
«Metodo, lavoro, programmazione, disponibilità dei corridori a faticare, strutture. Il velodromo di Montichiari ha fatto molto, per il reclutamento e per poter distribuire gli allenamenti degli atleti d’élite con criterio e senza troppe dispersioni. E poi è funzionale anche a chi si dedica solo alla strada».
Però, quando piove, cade acqua in pista.
«Già. L’ideale sarebbe avere un impianto del Coni, un vero centro federale nel quale la priorità è l’attività della Nazionale. Ma io lavoro con ciò che ho a disposizione. E cerco di farmelo bastare. Se penso che 10 anni fa Montichiari non c’era...».
Offerte da altre nazioni?
«Prima dei Giochi di Atene, mi cercò la Cina per Pechino 2008. Era un gran bel contratto, ma ero al primo incarico con la Federazione e mi seccava lasciare un lavoro appena cominciato. Poi nel 2005 mi chiamò il Canada. Meno soldi, però esperienza allettante. In Italia non vedevo grandi sbocchi, ma era appena nato mio figlio e non me la sono sentita. Dai club nessuna proposta concreta. Bettini, nel 2014, mi chiese se ero interessato al progetto-Alonso. Ero interessato, sì. Ma non se ne fece nulla».
La Nazionale femminile non le sta un po’ stretta?
«Io, dove sono, sto bene. Anzi, sono molto orgoglioso di essere il c.t. della Nazionale femminile. E poi non sono assolutamente stanco di quello che faccio. Gli stimoli li trovo ogni giorno: i successi, o i progressi di un’atleta, i nuovi traguardi che sempre mi pongo».
Lei non è un semplice c.t.: è allenatore, fa anche l’economo e, se serve, il tour operator...
«Sì, mi appassiono, mi diverto a fare un po’ tutto, a occuparmi di cose nuove. Stimoli. Ma ogni mansione non toglie nulla alle altre».
Come nasce Salvoldi c.t.?
«Sono stato un ciclista, modesto, fino a 21 anni. E ho sempre aspirato a fare il preparatore sportivo, già quando ancora correvo, perché mi affascinava sperimentare. Poi, da studente Isef, mi chiamarono per collaborare con il c.t. juniores, Redaelli. L’anno dopo, passai con De Donà, che guidava la Nazionale maggiore, e quando nel ‘94 lo sostituirono con Broccardo io rimasi. E lavorare con Antonella Bellutti è stato il miglior battesimo che potessi avere. Nel 2001 è arrivato il mio turno: prima alla guida della pista, poi di tutto il settore femminile. Broccardo? Lo considero il mio maestro, insieme con il professor Roberto Colli. Restano inarrivabili».
E’ difficile lavorare con le donne?
«Non più di tanto, ormai il genere lo conosco. Rispetto agli uomini penso che incida molto di più il rapporto umano che si instaura con i rispettivi riferimenti. Il loro punto debole? L’invidia, tipica delle donne in ambienti così competitivi. In alcune atlete è molto limitante».
Che cosa farà se vincerà l’oro olimpico? «Domanda di riserva?».