La Gazzetta dello Sport

Dagli insulti ai migranti al caso della pornostar Trump le sbaglia tutte?

●Il presidente Usa finisce di nuovo nella bufera per le frasi razziste Intanto sul fronte iraniano sembra applicare una politica prudente

- di GIORGIO DELL’ARTI gda@vespina.com

Dico la verità, sono più impression­ato dalla notizia che Trump ha rinunciato a sanzionare l’Iran che dai suoi insulti ai Paesi africani e dell’America latina, che fanno parte del solito, disgustoso modo di esprimersi del presidente. O dal bonifico da 130 mila dollari (come ha rivelato il Wall Street Journal) versato sul conto di una pornoattri­ce, Stephanie Clifford, un mese prima delle elezioni presidenzi­ali del 2016 per comprare il silenzio della donna che avrebbe avuto una relazione sessuale con Trump, dieci anni prima, nel 2006. Sarebbe bello se il capo dello stato più potente del mondo fosse anche un esempio. Ma la democrazia non pretende questo: pretende solo che il rappresent­ante del Paese e, nel nostro caso, uomo più potente del mondo, sia eletto dal popolo. E su questo, qualunque cosa si pensi, niente da dire.

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Perciò, oggi, dobbiamo cominciare dall’Iran. Ci si aspettava che Trump sanzionass­e l’Iran e invece Trump non l’ha sanzionato? Mentre Trump sbraita da una parte, facendo l’estremista fascista e razzista, dall’altra applica una politica prudente e moderata e strizza l’occhio niente di meno che agli odiati iraniani? È un modo esagerato di porre la questione, ma capisco che giornalist­icamente... In due parole: l’accordo di Obama con Teheran, da tutti celebrato, prevedeva che le sanzioni di cui l’Iran aveva sofferto, in particolar­e quella relativa alla libertà di vendere petrolio, venissero sospese e in cambio si otteneva che gli iraniani avrebbero ridotto le loro pretese nucleari evitando di arricchire l’uranio oltre il 4% e accettando le ispezioni dell’Aiea (Agenzia Internazio­nale per l’Energia Atomica) che avrebbe verificato il rispetto degli accordi da parte loro. L’Aiea, anche nell’ultimo rapporto, ha detto che Teheran sta rispettand­o i patti, dunque Trump non aveva una ragione politica per rimettere in vigore le sanzioni. Però il presidente, sia in campagna elettorale che dopo, ha ferocement­e criticato quell’accordo, mettendosi senz’altro sulla linea di Tel Aviv: gli iraniani dicono che faranno i bravi, ma in realtà stanno preparando la bomba atomica. Venerdì era il giorno decisivo: o fai riscattare le sanzioni adesso o mai più. Trump, dando seguito alle pressioni europee e a una telefonata di Macron, ha deciso di rinviare la decisione per 120 giorni («è l’ultima volta») e nel frattempo il Congresso dovrà preparare un irrobustim­ento, nell’ottica di Donald, dell’intesa. La Rivoluzion­e francese propriamen­te detta, e anche quella russa del 1917, sono durate meno di 120 giorni.

2 Quindi Trump è un moderato.

Chi lo sa? Chi ci capisce niente? Trump è Trump, un aggettivo di nuovo conio, quasi impossibil­e da tradurre.

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Veniamo agli insulti agli africani e ai latino-americani.

Insulti non ai popoli, ma ai «Paesi». Secondo quanto riporta il Washington Post, informato da alcuni presenti, l’inquilino della Casa Bianca si sarebbe espresso con la parola «shithole», che in italiano potremmo tradurre con «letamaio». I nostri, prudenteme­nte, hanno tradotto «cesso di Paesi».

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Com’è andata?

Trump vuole smantellar­e la protezione, stabilita per legge, di certi immigrati finiti negli Stati Uniti per qualche tragedia. Per esempio quelli del Salvador, scappati negli Usa dopo il terribile terremoto del 2001, o quelli di Haiti, rifugiatis­i in America anche loro per via del sisma che travolse l’isola nel 2010. C’è stata una riunione nello studio ovale con un po’ di deputati e senatori, tra questi il senatore democratic­o Richard Durbin e quello repubblica­no Lindsay Graham. Proprio questi due hanno riferito che Trump, sentendo i parlamenta­ri difendere quei poveracci, se ne sia uscito con la frase: «Ma perché dovremmo far arrivare qui gente da quei Paesi di m...? Cerchiamo di attrarre, invece, per esempio, i norvegesi». Poco prima il presidente aveva incontrato la presidente­ssa della Norvegia, che non ha avuto problemi a farsi fotografar­e mentre, in leggiadro abito a fiori, gioca a palla su un prato. La signora si chiama Erna Olsberg. Vittorio Zucconi su Repubblica ha commentato: «Il solito bambinone che fa riferiment­o all’ultima persona che ha visto». Quando Durbin-Graham hanno riferito le frasi di Trump è successo il finimondo. L’ambasciato­re americano a Panama s’è dimesso, l’Unione Africana pretende le scuse, El Salvador pure, eccetera eccetera. Trump è odioso e infatti tutti lo odiano. Stephen King ha detto: «Perché i norvegesi dovrebbero venire da noi? Hanno un vero sistema sanitario e un’aspettativ­a di vita migliore». Paradossal­mente, proprio domani il presidente pronuncerà un elogio-ricordo di Martin Luther King, nato il 15 gennaio del 1929.

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Come mai un presidente degli Stati Uniti pronuncia frasi così infelici? Chi lo sa. Si suppone che abbia voluto riscuotere gli applausi dei suoi, che su questo punto - degli africani e degli immigrati in genere - la pensano esattament­e così («shithole», con quel che segue). Può darsi che il presidente abbia voluto distrarre la destra americana dalla sua moderazion­e sul caso Iran. Lui comunque nega tutto: «Non ho mai usato parole di disprezzo nei confronti di Haiti, se non per dire che Haiti è, ovviamente, un Paese molto povero e pieno di problemi. Non ho mai detto “buttateli fuori”. È tutta un’invenzione dei democratic­i. Ho una relazione splendida con gli haitiani. Probabilme­nte dovrei registrare i futuri incontri. Sfortunata­mente non c’è fiducia».

LA CHIAVE

Ha sorpreso la scelta di non sanzionare Teheran, dando seguito alle pressioni europee

Il tycoon si difende dalle accuse: «I democratic­i mentono, non c’è fiducia nei miei confronti»

 ?? AP ?? Donald Trump, 71 anni, si è insediato alla Casa Bianca il 20 gennaio 2017 dopo otto anni di guida del Paese da parte di Barack Obama
AP Donald Trump, 71 anni, si è insediato alla Casa Bianca il 20 gennaio 2017 dopo otto anni di guida del Paese da parte di Barack Obama

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