Fognini c’è, ma Sugita agita gli azzurri
●Il giapponese annulla un match point a Seppi: 1-1. «A quasi 30 anni ho trovato l’equilibrio tra gioco e mente»
E’mancato un punto. O meglio, sono mancate le gambe dopo la solita battaglia a oltranza che ormai è diventata un marchio di fabbrica. Sul match point a favore nell’11° game del quinto set (3040, servizio giapponese), quando l’orologio segna 200 minuti di partita, Seppi arriva spompato sul non imprendibile dritto incrociato dell’avversario e spedisce in rete il suo, di dritto, piegandosi poi con le mani sulle ginocchia, stremato. E’ il segno della resa: il tie break infatti non avrà storia, Andreas perderà la 16a partita al quinto in carriera (22 vittorie, l’ultima in Australia con Karlovic due settimane fa) e l’Italia, dal 2-0 che avrebbe sostanzialmente sancito la qualificazione ai quarti fin dal primo giorno, si ritrova appesa a un delicato 1-1 e a una sfida che si risolverà in un’ultima giornata infuocata. Per fortuna il pubblico di Morioka (ampi vuoti in tribuna) non sembra animato dallo spirito dei samurai.
BRUTTO MA VINCENTE Meno male che nel primo singolare un’altra maratona, addirittura allungatasi fin quasi alle quattro ore (3h56’), esalta una volta di più l’anima-Davis di Fognini, capace di rimontare da due set a uno sotto per il 19° successo individuale in Coppa (7 sconfitte): «E’ stata davvero una brutta partita, ne sono consapevole: sicuramente la più brutta di quest’anno. Ma non ho più nulla da dimostrare: quello che sto facendo lo sto facendo per me e perché amo questo sport». Fabio rimane comunque una certezza, e il primo singolare di domani con Sugita, il giustiziere di Seppi e numero uno del Giappone in assenza del lungodegente Nishikori (appena rientrato nel circuito), ha tutta l’aria di un crocevia cruciale a prescindere dal risultato del doppio (che si è giocato all’alba italiana).
HO PASSATO GRAN PARTE DELLA MIA VITA SUI CAMPI DI PERIFERIA
YUICHI SUGITA 29 ANNI
TARDIVO Incredibile storia quella di Yuichi, esploso nel 2017 alla soglia dei trent’anni
(li compirà a settembre) dopo una carriera passata ad assaggiare il pane duro dei circuiti minori. Numero 112 all’inizio dell’anno scorso, è letteralmente sbocciato grazie, dice lui, «all’equilibrio che ho trovato tra gioco e mente, perché non è facile a quasi 30 anni mettere tutte le cose a posto per uno che è alto appena 1.75 e pesa 70 chili e ha passato gran parte della sua vita sui campi di periferia». Al match di Davis è arrivato da numero 41 del mondo, dopo un’escursione al 36 a ottobre, sotto la fatidica «quota 45» di Matsuoka, il miglior giocatore del Sol Levante prima dell’avvento di Nishikori e appunto del ragazzo di Sendai. Che è allenato da un cubano, Braen Aeiros, solo di cinque anni più vecchio del suo allievo, coach cresciuto a Panama e formatosi tra Thailandia e Cambogia prima di conoscere Sugita incredibilmente in Italia, a Sanremo, all’accademia di Bob Brett, dove entrambi stavano facendo uno stage. Colpi piatti, anticipo ed esecuzioni velocissime da giocatore di ping pong, Yuichi nell’ultimo anno è stato capace di arrivare nei quarti sulla terra (a Barcellona) e sul cemento (a Cincinnati) e di vincere il primo e fin qui suo unico torneo sull’erba, ad Antalya, segno di un’invidiabile completezza: nell’Era Open, solo Nishikori e Matzuoka, appunto, erano riusciti ad alzare un trofeo per il loro paese. Ma se il primo in Giappone è di gran lunga lo sportivo più popolare, Yuichi malgrado i suoi freschi successi non è ancora arrivato al cuore dei connazionali, tanto che dopo la vittoria in Turchia decine di giornalisti presero d’assalto il suo circolo per scoprire chi fosse quella sorta di alieno mai sentito prima. La Davis può dargli (speriamo di no) la consacrazione, ma ancora una volta lo snodo determinante sarà stato il doppio che rimane, con la formula che non cambia, il fondamento della Coppa. La specialità più negletta sa prendersi sempre la sua rivincita.