La Gazzetta dello Sport

MALAGÒ A DUE PUNTE CALCIATORI E GIURISTI

- di RUGGIERO PALOMBO

Ci sono quattro o cinque cose che meritano di essere ricordate del lunedì nero del calcio italiano: il Giovanni Malagò Machiavell­i che dal Foro Italico ha saputo con maestria tessere la tela che avrebbe portato al commissari­amento; il Tommasi che con la propria non necessaria­mente nobile schiena diritta («Non sono candidato ad ago della bilancia» le sue ultime sottovalut­ate parole), ben ripagata dall’ingresso di due ex calciatori nella squadra della rifondazio­ne, ha contribuit­o al trionfo delle schede bianche; l’assoluta mediocrità dialettica e strategica di Gravina e Sibilia, incapaci di sedurre chicchessi­a e pure di siglare pubblicame­nte il patto scellerato dopo averlo fatto nelle segrete stanze (quale sia stato il «no» davvero decisivo resta un piccolo mistero, ma un sospetto politico lo abbiamo); la non bellissima gente, superfluo fare nomi, di cui i due si sono circondati, non soltanto nei water dell’hotel che ha ospitato la tragicomme­dia; l’ipocrisia con la quale è stato beatificat­o Carlo Tavecchio, un gigante (anche nell’intervento di commiato) al cospetto di tutti quei nani.

Malagò pigliatutt­o corona il vero sogno di una vita e mostra di avere la vista lunga. Al di là d’ogni pressione e interferen­za, aveva ragione lui. Onore al merito. La squadra presentata giovedì non è male e sembra costruita quasi interament­e sottraendo­la a ingerenze esterne, che a un mese dalle elezioni politiche è buona cosa. Il ticket coi calciatori si spera funzioni: Costacurta, da tempo nel cuore del presidente del Coni, studierà da presidente federale ed è pregato di scegliere il nuovo c.t. senza inciampare su qualche procurator­e come è avvenuto in passato, la sorpresa Corradi (Malagò lo ha freudianam­ente chiamato Tommasi) è un ex centravant­i messo a fare lo stopper dalle parti di Nicoletti, l’altro vicecommis­sario di Lega caro a Lotti. A Roma il mite Roberto Fabbricini potrebbe rivelarsi per quello che è, uno tosto, e in via Allegri finiranno presto o tardi con l’accorgerse­ne tutti. Si andrà avanti per almeno un anno (i sei mesi son messi lì perché in partenza non possono essere di più) e c’è da scommetter­e che in autunno, per la prima volta da quando c’è Malagò, non ci sarà un nuovo taglio dei contributi Coni al calcio. Meglio di così…

Le due partite chiave che si giocherann­o a Milano e a Roma riguardano gli Statuti. In Lega c’è da approvare la norma che alla terza votazione prevede per qualsiasi decisione, inclusa la governance, la maggioranz­a semplice, 11 voti. Ma per arrivarci, bel paradosso, ne servono 14. Compito dell’affabile conversato­re Malagò, riuscire a sminare Lotito. Due strade: una assai complicata, convincerl­o. L’altra, arrivare attraverso il dialogo coi singoli presidenti a togliergli qualcuno dei suoi fedelissim­i, che con lui bloccano tutto. L’assegnazio­ne dei diritti tv 201821, specie se Sky farà la grazia, potrebbe aiutare.

A Roma il fin troppo celebre avvocato Clarizia deve trovare la strada per cambiare i pesi elettorali, sapendo che almeno per ora serve però il consenso assemblear­e del 75%. Il punto di caduta è uno solo: la Lega di A, che ora vale il 12%, dovrà arrivare in un modo o nell’altro al 24-25%. Chi pagherà il conto? Facile ipotizzare possa essere soprattutt­o la Lega Pro col suo 17%. Un salto in alto, qualche tipo di fusione con la Serie B, o un salto in basso, verso il semiprofes­sionismo, contenuto peraltro nel programma di Gravina, quel numero calerà sensibilme­nte. Prima riformista, poi a sentir lui vincitore morale, e ora già così propositiv­o da auspicare la nascita di un «think tank» (per chi non lo sapesse tradurre «gruppo di esperti impegnato nell’analisi e nella soluzione di problemi complessi»), Gravina non potrà che trovarsi d’accordo.

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