«Tiro a segno e biathlon I due modi di fare centro»
●L’olimpionico Campriani è in Sud Corea: «L’arma è più leggera, le munizioni le stesse, ma come tempi e movimenti cambia tutto»
Se i tanti tecnici che vanno e vengono lungo la zona d’arrivo sapessero chi è, quel ragazzo che si sporge dalla transenna della tribuna con indosso un cappello di lana nero e il giaccone del Cio, sicuramente gli metterebbero un paio di sci stretti sotto i piedi, un passaporto in mano e gli prenoterebbero un corso intensivo di sci di fondo. Perché nello skating sarebbe di sicuro un principiante, ma al poligono del biathlon Niccolò Campriani darebbe senz’altro delle soddisfazioni.
PRECISI E VELOCI Il tre volte olimpionico del tiro a segno si trova a PyeongChang per conto del Cio. Ormai lavora a Losanna, lì tra le altre cose segue un progetto per aiutare i campioni olimpici ad affrontare il ritiro e l’impatto con la vita normale. In Sud Corea, invece, sta cercando di sensibilizzare gli atleti a votare per l’elezione dei loro rappresentanti in seno al Cio, alla quale è candidato anche Armin Zoeggeler. Per un giorno, però, l’ormai ex tiratore ha lasciato il lavoro a Gangneung ed è venuto a godersi uno dei suoi sport preferiti, il biathlon. «Quando c’è la tappa di Coppa del Mondo ad Anterselva vado sempre — racconta il toscano, che nei giorni scorsi ha confermato il proprio ritiro, chiudendo ogni discorso sulla sua partecipazione a Tokyo 2020, nonostante l’iserimento della gara mista in cui avrebbe potuto affiancare la fidanzata Zublasing —. Vederlo qui, però, mi fa venire voglia di provare». È in corso la gara a inseguimento femminile, Lisa Vittozzi e Dorothea Wierer cercano un podio che non arriverà. Campriani si sporge, vuole vedere meglio quello che succede al poligono, segue la gara con il sorriso sulle labbra e con un interesse vivo. «La carabina per certi versi è simile a quella che usavo io — racconta —, anche se queste pesano 2-3 kg in meno perché devono portarsela sulle spalle. Il calibro però è lo stesso, così come le munizioni e gli organi di mira. La vera differenza è lo skillset, l’insieme di competenze richieste: loro devono essere precisi e veloci, nel tiro hai il tempo per prendere la mira».
PARADOSSI OPPOSTI Il maxischermo inquadra la nostra Lisa Vittozzi, molto attesa dopo il buon piazzamento nella sprint, al poligono. I polmoni lavorano a mille, il petto si apre e si chiude come una fisarmonica mentre sta già prendendo la mira. «Il fascino del mio sport è un paradosso — prosegue Campriani —: sei fermo, senti il bisogno di muoverti ma non puoi perché anche il minimo movimento altererebbe il respiro, il battito cardiaco e tutto ciò andrebbe a influire sulla mira. Nel biathlon invece il paradosso è opposto: fai uno sforzo fisico pazzesco, ma poi arrivi al poligono e devi essere il più fermo possibile.
«MI HANNO CHIESTO CONSIGLI, MA NON SAREI STATO D’AIUTO»
NICCOLO’ CAMPRIANI SUI BIATHLETI
Alla fine si tratta di accettare un compromesso, cosa che io ho sempre faticato ad accettare: non puoi essere perfetto, non puoi pensare di prendere la mira nel miglior modo possibile, devi cavartela convivendo con quelle sensazioni che, nonostante siano sgradevoli, sono le tue compagne di viaggio». Campriani racconta che i biatleti azzurri gli hanno chiesto qualche consiglio in questi giorni. «Io non ho detto nulla, non sarebbe stato giusto farlo. Volevano sapere a cosa penso quando devo affrontare l’ultimo tiro. Se avessi detto loro la verità non sarei stato d’aiuto».
GUSTARE IL TRIONFO Laura Dahlmeier lascia senza errori anche l’ultimo poligono. Quasi un minuto di vantaggio da gestire, le mancano due chilometri e poi sarà oro, il secondo in due giorni dopo quello della sprint di apertura. «Ecco, questo mi manca — si accende Campriani —. Il potermi godere l’ultimo giro sereno, sapere di aver vinto ma avere il tempo di realizzarlo mentre arrivo al traguardo dopo aver fatto “zero” all’ultimo poligono. Per noi tiratori non è così. Siamo sempre lì a reprimere le emozioni, a scacciarle via. Io non sono mai riuscito a festeggiare dopo l’ultimo tiro. Ho sempre goduto il giorno dopo».
SOLLIEVO Poi inizia la festa tedesca. La Dahlmeier abbraccia i tecnici, saluta i tifosi, si gode il secondo oro di fila. «Ho grandissima stima per i favoriti che riescono a vincere. Ricordo bene cosa significò presentarsi a Londra da leader della Coppa del Mondo in termini di attesa, di pressione mediatica, di stress. Quando vinsi l’oro la sensazione prevalente fu sollievo, non felicità. Allo stesso modo, ogni volta che vedo un favorito perdere, come è successo al tedesco Loch nello slittino, mi viene il magone».