INCHINIAMOCI ALLA BOLT DELLA NEVE
Stacca tutte e domina il cross Capolavoro Moioli
Il 16 febbraio è il Capodanno coreano. Ieri nelle prima giornata di festa si è praticata l’arte antica del Sebae, l’inchino che i bambini rivolgono ai genitori. Qualcosa di simile a quello che ieri il mondo dello snowboardcross
● Coraggio e classe, la 22enne bergamasca trionfa. E’ il primo oro nello snowboard a 20 anni dal debutto ai Giochi
Le lacrime sono diverse quattro anni dopo. Michela Moioli è cresciuta, è diventata grande, grandissima, e in tribuna a misurare quest’onda d’urto della sua tavola c’è la persona all’origine della sua ascesa verso l’Olimpo: una mamma coraggiosa e altruista. Il sole splende nella giornata di grazia di questa tenacissima bergamasca che compie la prodezza azzurra mai riuscita nello snowboard, 20 anni dopo il debutto ai Giochi. Il cross non era stato ancora promosso a Cinque Cerchi e quelli con i pantaloni larghi e la tavola sulla spalla erano visti come degli insopportabili intrusi. Michela adesso simboleggia un’altra caratura di atleta moderna mentre si lancia pericolosamente su quei muri da paura dove il giorno prima si contavano i feriti. Ci vuole stomaco e Michela ha una potenza che sprigiona sin dalle qualificazioni, via via fino alla finale affrontata con la stessa tattica: tenere a distanza di sicurezza (per evitare cadute) le rivali di turno, soprattutto la statunitense Lindsey Jacobellis. Ma la pentacampionessa mondiale resterà sotto il podio a meditare sul perché lei in 4 Olimpiadi non è riuscita a trionfare, nemmeno su questa pista disegnata a suo piacimento. Invece quell’italiana espansiva, al secondo tentativo, l’ha spuntata davanti alla sedicenne francese Pereira de Sousa e alla ceca Eva Samkova, olimpionica a Sochi. Dove Michela era finita all’ospedale col crociato del ginocchio sinistro rotto (e furono lacrime).
FATTORE SOFIA
Raffaella Brutto, che chiuderà ottava (come seconda della finalina), fotografa il senso del successo di Michela: «Sta surfando benissimo, lei ci rende tutti felici col suo carattere forte: di speciale ha che crede in se stessa. E poi si allena con la Goggia, io con la Brignone: altro che alternativi, lavoriamo come gli sciatori, siamo una ventina in Italia, mentre in Francia sono migliaia». Pure Michela ha passato il guado optando per lo sport più crazy e la specialità più complicata: grazie a Serena, la sorella, ad Andrea, il suo primo allenatore nello sci club Scalve di Colere, e a mamma Fiorella che la spinse a provare. I tre si godono questo momento d’oro, felice, supremo: Michela si prende la gloria olimpica grazie a tanto lavoro, lavoro. E tanti pianti. Non è esuberante, Michela, ma galvanizza. E di vittoria in vittoria in coppa del Mondo s’è presentata al cancelletto coreano con la consapevolezza di essere la migliore. «Valeva la pena venire sino in Sud Corea» racconterà con gli occhi lucidi mamma Moioli: «Tutto quel dolore per il grave infortunio di Sochi l’ha fatta crescere».
A CASA
Quando torna a casa, Michela stacca col surf, si ricarica e magari va a spasso in montagna, in mezzo alla natura con papà Giancarlo. «Lei si distrae così». O si allena con la Goggia, con la quale va spesso a cena. E fa parte di una squadra assai competitiva, soprattutto a livello maschile: anche questo aiuta la ragazza dell’Esercito. La sorella ha visto un cambiamento cruciale negli ultimi sei mesi: «E’ diventata donna». Tutte e due si sono dedicate al cross sulla neve perché la mamma sentiva che «quello sport da ragazzi» avrebbe condotto Michela lontano, lontanissimo. E ora quel bel giorno è diventato questo bellissimo giorno di una dolcissima Michela che rende fiera la famiglia e l’Italia. «Alla vigilia ci ha cercati — racconta la sorella — negli anni scorsi non sarebbe successo, non ci voleva alle gare perché le mettevamo soggezione. Non stava tanto bene prima della gara, aveva bisogno di sfogarsi. Ed è partita. Si è girata verso la pista e mi ha detto: “Ho voglia”». Se- rena fa l’impiegata, Michela ora fa l’olimpionica, e la mamma guarda il cielo che si fa più azzurro dopo il trionfo della figlia: «Le dicevo da bambina vai a fare la gara. Mi rispondeva “ma io non voglio”. Ed è così che ci siamo ritrovate in Corea». A sublimare una grande storia italiana in uno sport che 25 anni fa era pieno di contraddizioni, diviso tra due federazioni. Una babele che ha faticato a ottenere il riconoscimento olimpico, per troppi pregiudizi e oggettive difficoltà. Michela è arrivata al momento giusto a regalare quella medaglia che scuote e diventa riferimento per un popolo che può rialzare la testa anche al cospetto dello sci alpino. «Avevo la medaglia in tasca» urlava di sofferenza Michela dall’ospedale di Sochi dopo quella finale spezzata sul più bello. Il crac del ginocchio sinistro avrebbe potuto troncarle la carriera, ora si stempera nel ricordo. Il sorriso di Michela conquista la spedizione italiana a PyeongChang. Ora è il momento di rientrare a casa, con quell’oro che luccica come le sue lacrime tenere e radiose. L’Olimpiade ha stravolto per sempre la vita di Michela, indemoniata sulla tavola. Anche le americane, adesso, le porteranno rispetto. La ninfa più brava d’Olympia del cross? Cercatela ad Alzano, Bergamo.