LA FIRMA DI MESSI SU QUESTO DECENNIO
Se il Barça si porterà a casa anche questa Liga – come lascia intendere il successo al Camp Nou sull’Atletico – vorrà dire che avrà vinto sette degli ultimi dieci campionati spagnoli. Una vera e propria egemonia. Al Real Madrid e agli stessi Colchoneros, in questo arco di tempo, sono rimaste le briciole: due successi contro uno, e in tutti e tre i casi i blaugrana erano là, secondi. Tanto per far capire che non mollavano. Rassegniamoci. Questi anni passeranno alla storia come il decennio di Leo Messi. Sono cambiati gli allenatori – da Guardiola a Vilanova, dal Tata Martino a Luis Enrique, fino a Valverde – ma lui è sempre rimasto in campo a segnare divinamente la differenza. È successo anche ieri, nel match più delicato dell’anno per il Barcellona. L’Atletico aveva progressivamente diminuito la distanza dalla capolista, che è ancora imbattuta ma nelle ultime settimane ha cominciato a perdere visibilmente dei colpi. I blaugrana venivano da un pari, striminzito, a Las Palmas, mentre i madrileni stavano volando sulle ali di Griezmann e dei suoi gol a pioggia. Come ha ricordato ieri il Cholo Simeone – commosso nel minuto di silenzio per ricordare Quini e Davide Astori – la differenza sta tutta nel colore della maglia del numero dieci. Come dire: se Messi avesse giocato con l’Atleti, il Barça avrebbe perso 1-0 e adesso, con soli due punti di distacco tra prima e seconda, staremmo qui a parlare di un campionato spagnolo completamente riaperto.
Sono abbastanza d’accordo col Cholo, credo che Messi sia la punta dell’iceberg e anche il valore aggiunto decisivo del Barça. Solo un genio può segnare un gol su punizione come ha fatto Leo ieri, scavalcando una barriera pronta a rispondere in modo aggressivo per infilare il pallone sotto all’incrocio, con traiettoria imprendibile per il gigantesco Oblak. Più che sfiorarla quella palla non poteva, onestamente. Un exploit casuale? Ma va, è la terza punizione diretta che Messi segna nelle ultime tre partite. Chirurgico, come se fossero rigori. In un modo o nell’altro, il numero uno al mondo riesce a prendere per mano il Barça, sradicandolo dalle sabbie mobili del tempo che passa per tenerlo sempre in quota. Questa è una fortissima squadra quasi normale. Siamo molto lontani dal calcio sublime delle stagioni di Guardiola. Ci sono forti differenze anche rispetto al Barcellona di Luis Enrique, tutto impostato sui magnifici tre là davanti: Ney e Suarez, oltre a Leo.
Con Valverde i blaugrana hanno cambiato modulo. Un attaccante in meno, un centrocampista in più. Sono diventati tremendamente solidi, ma anche abbastanza umani: il secondo tempo di ieri contro l’Atletico del Cholo è stato una mezz’ora abbondante di apnea, poco meno che un’agonia, con tanto di rinvii a casaccio per far respirare la difesa. Insomma, niente a che vedere col modo di imporsi che ha il Manchester City, assoluto dominatore del match di ieri sul Chelsea di Antonio Conte. I risultati sono identici – 1-0 al Camp Nou come all’Etihad – però non raccontano bene le sfumature dei rapporti di forza. Ho l’impressione che il Barça sia stanco. Si gioca troppo e c’è il solito problema delle rotazioni che non coinvolgono tutti. Messi va in campo quasi sempre e non è l’unico. La stanchezza si vede nei secondi tempi, nella difficoltà di segnare su azione, come se mancassero lucidità e brillantezza. I giocatori più importanti sono a pezzi: Piqué e Suarez giocano con ginocchia malconce, ieri Iniesta si è fermato per uno stiramento. Bel guaio: in Champions non è scontato l’esito del ritorno col Chelsea. Nella Liga il Real si è suicidato, l’Altetico quasi. Tutto è più semplice. In Spagna forse basta Messi, che ieri ha segnato il gol 600 da quando è professionista. Comunque vada, questo resta il suo decennio. Nessuno può portarglielo via.