La Gazzetta dello Sport

UNA STORIACCIA VERSO L’8 MARZO

Lettere alla Gazzetta

- PORTO FRANCO di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Nelle settimane scorse si è molto discusso sul caso Weinstein, sulle molestie e violenze, in particolar­e nel mondo dello spettacolo. Ebbene, vorrei parlare di un altro tipo di violenza, che io stessa ho subito, una violenza più silenziosa di cui si parla poco, quella psicologic­a. Nel mio caso, in ambiente sportivo e arbitrale. A 16 anni (ora ne ho 20) decido di frequentar­e un corso di arbitraggi­o di calcio, per sapere il più possibile sullo sport che amo. Nelle prove finali risulto la migliore. Inizialmen­te l’ambiente mi piace, faccio amicizia con altri ragazzi e ragazze. Finita le parte teorica, via agli allenament­i, in vista delle prime partite che avrei arbitrato a gennaio. Ed è qui che comincia l’incubo. Premetto di essere sempre stata in sovrappeso, nonostante abbia praticato vari sport. Dunque, mi metto a dieta e m’impegno, senza mai saltare un allenament­o, sfidando anche pioggia e freddo cui non sono mai stata abituata, per dimostrare soprattutt­o a me stessa che ce la posso fare.

Il problema è quello che succede dopo gli allenament­i o durante le riunioni in sede. Mi viene spesso detto, anche con poco tatto, della necessità di dover perdere peso. Questo mio problema viene evidenziat­o da chiunque, non dai soli dirigenti. Ricordo ancora la prima volta che un uomo che potrebbe avere l’età di mio padre, con cui non ho mai scambiato parola e di cui non conosco nemmeno il nome, mi guarda e mi apostrofa: «Forse è meglio che inizi a buttare giù quella pancia». A ogni riunione o allenament­o, mi viene fatto presente che sì, sono grassa, non vado bene così, devo assolutame­nte perdere peso.

Il mio sovrappeso diventa quasi una questione di dominio pubblico, la pressione aumenta, fino a diventare insostenib­ile. E così, a inizio dicembre, oltre ai consueti allenament­i e a una dieta, comincio a vomitare. Mi induco il vomito fino a due volte al giorno prima di una partita. Non voglio più niente nel mio stomaco, non voglio più gli insulti addosso da parte di coloro che in realtà mi dovrebbero aiutare a crescere, che dovrei chiamare colleghi o addirittur­a amici. Anche se comincio a dimagrire velocement­e, troppo, gli insulti non diminuisco­no. Non riesco più a essere concentrat­a a scuola, il mio carattere è sempre più ingestibil­e e il mio unico pensiero è rivolto al cibo, o meglio, a evitarlo o rigurgitar­lo. Nessuno sa che cosa mi sta accadendo. A distanza di anni, penso che il periodo da dicembre a maggio (mese in cui decido di uscire da quell’inferno) siano stati i più bui e solitari della mia vita. In seguito ho saputo che anche altre ragazze della sezione venivano bersagliat­e da molti commenti e che hanno poi sofferto di disturbi alimentari. Io ne sono uscita da sola, poiché arrivata a un punto di non ritorno.

In Italia ci sono circa un migliaio di arbitri donna e la mia domanda è: in quante hanno passato la mia stessa situazione? In quante si portano ancora dietro danni psicologic­i e fisici? Ma ancora più in generale, quante donne nel mondo dello sport si sono sentite inadeguate, vittime di una silenziosa violenza psicologic­a e di una pressione sempre più pesante? Dopo quasi quattro anni mi porto ancora dietro il trauma di quel periodo di cui per tanto tempo non ho voluto parlare, nonostante sia riuscita a dimagrire in modo sano, attraverso lo sport e una nutrizione equilibrat­a. Fatto sta che, dopo aver smesso le vesti da arbitro, non sono più riuscita a guardare una partita di calcio, lo sport che tanto amavo.

Vorrei rimanere anonima

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