QUANDO LA NORMALITÀ È UN VALORE
La morte del capitano della Fiorentina
Davide Astori ha attraversato l’Italia, ha abitato città, ha indossato diverse maglie e le ha riunite nell’azzurro della Nazionale: eppure abbiamo quasi fatto fatica ad accorgercene. Non era una star, non era sulle copertine, non era uno da Pallone d’oro. Sembrava avesse lasciato segni leggeri che il tempo avrebbe spazzolato via. Invece scopriamo che si tratta di tracce profonde e incancellabili. Nell’ultimo saluto ieri a Firenze c’era un mondo senza trincee e senza confini, senza buu e senza tabù. Un’onda lunga di emotività di origini assolutamente spontanee. Nulla di formalmente necessario, ma tutto assolutamente naturale. Un luogo senza tossine dove le lacrime erano liberatorie e il dolore un sentimento condiviso. Dov’era possibile applaudire tutti, anche chi abitualmente più che un rivale con il quale misurarsi è considerato un nemico da odiare. Com’è stato possibile tutto questo?
La risposta probabilmente è nella forza dirompente della normalità – intesa come valore - nella quale in tanti si sono riconosciuti, a cominciare dai colleghi con i quali ha giocato e quelli che lo hanno affrontato da avversario. La normalità di un sorriso, del buon esempio, della comprensione. Ma anche dell’impegno, del sacrificio, della voglia di lottare senza prevaricare. Di ottenere di più senza dimenticare quanto si ha già. La normalità di fare quel che è giusto e non quello che conviene. La normalità che vince con le parole dette a scapito di quelle urlate. La normalità di chi è stato capace di essere apprezzato come uomo, padre e calciatore senza doverlo per forza rivendicare.
Questo è il profilo che ci viene lasciato in eredità da chi ha conosciuto Davide. E al di là di ogni inevitabile inciampo retorico, resteranno vive le parole che Badelj ha riservato al suo capitano: «Sei il calcio, quello puro dei bambini». Sulla maglia della Fiorentina c’è scritto Save the Children. Davide Astori ci ha indicato una via. Non unica, ma possibile.