La Gazzetta dello Sport

Possesso palla e aggression­e: così DiFra studia trappole

●Lavori su scorriment­o, riconquist­a e verticalit­à. Il tecnico: «Guai ad aver paura»

- Massimo Cecchini ROMA

Raccontano che in principio ci sia stato Cruijff, poi sia venuto Van Gaal e infine il Verbo sia stato definitiva­mente dispensato al mondo da Guardiola. Parliamo dell’addestrame­nto principe sul possesso palla, che caratteriz­za da tanti anni il gioco del Barcellona. I Padri Nobili, però, non spaventano la Roma, perché nel centro tecnico di Coverciano è nozione comune che l’allenatore italiano che sappia sviluppare meglio questo tipo di esercitazi­one – anche per lavorare sulle contromoss­e – è Eusebio Di Francesco, che infatti ieri a Roma Tv ha illustrato alcune delle sue idee. «Il primo pensiero è sempre quello di far morire il prima possibile il gioco degli avversari – spiega l’allenatore gialloross­o, che col Sassuolo lo scorso anno ha battuto 3-0 in casa l’Athletic Bilbao di Valverde, perdendo al ritorno 3-2 –. La riconquist­a della palla alta e le transizion­i diventano determinan­ti per far male all’avversario».

LEZIONE VISCIDI Il vangelo laico su un lavoro del genere, in Italia, è quello di Maurizio Viscidi. Si chiama: «Giochi di posizione» ed è ormai tradotto in diverse lingue perché in quel volume il 56enne coordinato­re delle Nazionali giovanili – nonché docente a Coverciano – spiega bene gli esercizi utili. Sul possesso palla, quello a più ampio respiro è il 7 contro 7, con 3 giocatori jolly che sono sempre in appoggio di chi tiene palla. Ci sono alcuni concetti di base: passaggi precisi, forti e rasoterra, smarcament­i e controlli orientati. I giocatori, poi, devono mantenere le posizioni di base e far scorrere la palla dall’alto verso il basso e in modo orizzontal­e (ad esempio: centrale difensivo, terzino, esterno alto, centravant­i e viceversa), appoggiand­osi anche sui jolly di centrocamp­o per i triangoli. La differenza col «possesso caos» sta appunto nel non muoversi dalle posizioni di base per cercare di evitare la riconquist­a che, a differenza del torello, non si ottiene solo nel toccare la palla ma nell’entrarne in possesso. A quel punto i jolly appoggiano i nuovi «padroni» e si ricomincia.

PROFONDITÀ Ecco, in questi giorni Di Francesco ha lavorato molto in questo senso, applicando però una variante consigliat­a che non sempre si vede nel calcio spagnolo, spesso sterile nel possesso. Al 10° tocco da parte di un giocatore diverso, infatti, è necessario che le punte cerchino la profondità e vadano a fare gol in una delle porticine piazzate ai limiti di ciascuna area di rigore. Perciò, a diffe-

renza di quanto solitament­e succede nel Barcellona, a volte alla Roma viene prevista anche la verticaliz­zazione con palla alta, soprattutt­o quando si è riconquist­ata la palla in una zona interessan­te. Per farlo occorre un’aggression­e coordinata del portatore di palla, con i giocatori pronti a scalare su quelli più vicini, correndo però il rischio di lasciare liberi quelli lontani dal pallone. «Ovviamente occorre scegliere i tempi giusti, cercando di indirizzar­e le pressioni. Riuscire a venir fuori da un’aggression­e può creare parità numerica, e quando si va in attacco, bisogna cercare di isolare la fascia che scegli, creando l’uno contro uno». Naturalmen­te con tali principi i rischi non mancano. «Sapete cosa fa impaurire maggiormen­te un calciatore? Se va a fare pressione e magari non riesce a farla bene, viene un po’ di timore. Ma è l’errore più grande. La forza sta nell’andare a rifarla subito perché la paura non aiuta». In vista del Camp Nou, parole da non dimenticar­e.

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