La Gazzetta dello Sport

LO STRAPOTERE REAL TRA SPORT E POLITICA

- LA ROVESCIATA di ROBERTO BECCANTINI

Nel passaggio culturale da Real-Juventus a Juventus-Napoli spicca il fascino perverso del fattore campo. Lo Stadium non è certo il Bernabeu, ma da quando venne inaugurato, l’8 settembre 2011, il Napoli vi ha sempre perso: e sempre, va detto a onore degli sceriffi che si alternaron­o, senza sparatorie tali da agitare il sentimento popolare. Il Real sta all’Europa come la Juventus all’Italia. Nei rispettivi territori di caccia sono i più forti, i più potenti. E poiché la potenza a volte proprio vergine non è, le pance scendono in piazza. Polvere di stelle, da Diego Maradona a Michel Platini, e nuvole di tribunali. In Spagna, il Real ha un avversario che lo assorbe ben oltre i confini sportivi: il Barcellona. Da noi, un rivale così radicato, così radicale alla Juventus manca. Ci sono le milanesi, le romane, c’è Firenze, c’è Napoli. Ma la bussola rimane, esclusivam­ente, il calcio. Al massimo, l’arbitro: non le piaghe, dolorose e profonde, di una guerra civile.

Dalle costole del Real, e dalle idee di Santiago Bernabeu, nacque il primo grande manager del Novecento, Raimundo Saporta. Parigino per caso, era un patito di basket, di bilanci. Finì per organizzar­e il trasferime­nto di Alfredo Di Stefano. C’era di mezzo il Barça: Saporta, molto Franco, lo convinse a scegliere Madrid. Si occupava anche di arbitri, Saporta. A scopo preventivo, naturalmen­te. Fu il «papà» di Italo Allodi e il «nonno» di Luciano Moggi. Allodi forgiò la Grande Inter di Angelo Moratti. Non pago, lavorò per la Juventus e il Napoli. Moggi, prima di essere reclutato da Umberto Agnelli e decapitato da Calciopoli, servì il Napoli e addirittur­a quel Torino che Emiliano Mondonico avrebbe portato fino alla sedia di Amsterdam e alla Coppa Italia di Roma.

Domenica sera, per paradosso, il Napoli sarà la Juventus e la Juventus il Real. Maurizio Sarri andrà all’assalto della «capitale» (e del capitale) con i suoi cristiani ma nessun Ronaldo. Metà Italia ne sosterrà la marcia al di là di ogni ragionevol­e moviola. L’altra metà si stringerà alla tradizione e al petto di Massimilia­no Allegri. La forza del destino contro il destino della forza.

All’andata, venerdì 1° dicembre, risolse un contropied­e «made in Pep (Guardiola)»: Douglas CostaPaulo Dybala-Gonzalo Higuain. Verticale, letale. Non ci furono azioni degne di baruffe filosofich­e, sul filo del filo (spinato) come il contatto tra Medhi Benatia e Lucas Vazquez. Pesante per il minuto, pesantissi­mo per gli effetti in campo e fuori. Michael Oliver non meritava il rogo. L’autopsia dell’istante, ripresa e completata da una lista di illustriss­imi «primari», ha fornito esiti bipartisan: il rigore si poteva dare o non dare. Paolo Casarin non lo avrebbe concesso, Luca Marelli sì.

Da realisti che erano, nei bar e sui social sono diventati tutti Realisti. La storia incalza. In un NapoliJuve­ntus del 1985 debuttò Ciro Ferrara e nel dicembre del 1968 chiuse la carriera Omar Sivori dopo una rissa da saloon con i suoi ex compagni di tunnel e di merende. Isterico, geniale y final. Dino Zoff e José Altafini mescolaron­o avventure, guanti e pugnali. E alla puntata dell’edizione 1929-30 risale il primo autogol del campionato a girone unico. Lo firmò Biagio Zoccola, mediano del Napoli, e introdusse il 3-2 della Juventus. La Var ha sedotto Aurelio De Laurentiis, un po’ meno Andrea Agnelli. Perché, se la gloria descritta da Zoff dura solo un attimo, il dubbio, per Voltaire, «è scomodo ma la certezza ridicola». O viceversa, a seconda della fede e della fedina.

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