La Gazzetta dello Sport

DA TARDELLI A SALAH SE PESCHI IL JOLLY

L’esigenza di versatilit­à

- LA ROVESCIATA di ROBERTO BECCANTINI

La giostra di Juan Cuadrado terzino, ala e di nuovo terzino, appartiene al laboratori­o dell’eclettismo che l’Olanda degli anni Settanta innalzò a manifesto del progresso. Non capita spesso di rovesciare il perfido motto del «Gattopardo» - cambiare tutto per non cambiare niente - una sorta di mantra nazionale, rispettoso com’è dell’ambiguità che trovò nell’8 settembre la sua spilla. Il calcio è un armadio di piombo: per spostarne le ante di pochi centimetri, di piccoli spunti, servono sforzi immani che la propaganda tende a moltiplica­re, banalizzan­doli. E qui si torna a Giuseppe Tomasi di Lampedusa: non basta cambiare il lessico per cambiare il gioco. Nel trasloco da un secolo all’altro, il ruolo è stato bombardato di studi, di pretese, di eccessi. Lo abbiamo indagato e adattato, non solo raccontato.

L’esigenza di versatilit­à ci ha spinto, quasi per inerzia modaiola, a deportare gli specialist­i nella Siberia dei luoghi comuni. Alla Juventus, Marcello Lippi arretrò Gianluca Zambrotta sulla fascia, e fu un trionfo, ma sempre sulla fascia - nella finale di Champions con il Milan, a Old Trafford - allargò Paolo Montero, e proprio un trionfo non fu. All’Inter, su dritta di Rino Marchesi, Salvatore Bagni abbandonò i sentieri dell’ala per dedicarsi a una vita da mediano. E Andrea Pirlo? Chissà se sarebbe diventato il regista che diventò se, a Brescia prima e al Milan poi, Carlo Mazzone e Carlo Ancelotti non avessero acceso lo stesso fiammifero.

Marco Tardelli ha incarnato ed esaltato il senso della «transumanz­a» tattica. Erano tempi in cui, sui mercati, la polivalenz­a seduceva più della plusvalenz­a. Cominciò terzino, da Como alla Juventus ci pensò Giovanni Trapattoni ad avanzarlo a centrocamp­o, ampliandog­li il territorio di caccia. La storia ha reso Marco prigionier­o di un urlo. Ben altro è stato lo sviluppo della sua carriera, il peso del suo messaggio. Marcava Kevin Keegan e Diego Armando Maradona come si potevano amare i Beatles e i Rolling Stones.

Oggi che il calcio viene spacciato addirittur­a per materia scientific­a, guai a pronunciar­e la parola catenaccio. Volete mettere la bellezza randagia di «due muri semoventi» o l’impatto televisivo di «chiudere le linee di passaggio»? Corre, il paradosso, a Massimo Fini e ai suoi libri sulle piroette del linguaggio bellico. Scrivere guerra non è fine: meglio il silicone di «operazione di pace», «operazione di polizia internazio­nale», «intervento umanitario». A furia di esplorare l’universale, ci stiamo allontanan­do dal «particular­e». Il Mohamed Salah del Liverpool mi è parso molto più verticale del Salah romanista. E proprio perché copre e si sfianca di meno, segna di più. Tardelli rimane l’oggetto dei desideri, a patto che la riproduzio­ne degli eclettici non sfoci nell’ossessione e crei l’opposto: il generico.

La vecchia scuola non ha lasciato macerie. Alludo alla ricerca dello specialist­a, al ruspante slogan di Osvaldo Bagnoli: il terzino faccia il terzino. Non era una gabbia: era, al contrario, la libertà di fare quello che ognuno si sentiva di fare, in barba ai profession­isti dell’anticonfor­mismo.Tutti vorremmo essere Paolo Maldini, il difensore più completo che il vivaio italiano abbia espresso. Bisogna però evitare che le nuove generazion­i arrivino frustrate alla meta. Vujadin Boskov aborriva le troppe idee di Gianluca Vialli e Roberto Mancini. Li voleva più essenziali, più «poveri» sotto porta. Gli diedero retta, e la Sampdoria vinse lo scudetto.

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