La Gazzetta dello Sport

IL TACCO DI MAX LE MANI DI GIGIO

- IL COMMENTO di LUIGI GARLANDO email: lgarlando@rcs.it

La coppa del mondo, come l’ha chiamata Gattuso alla vigilia, l’ha sollevata Gigi Buffon. A differenza di Berlino, Ringhio stavolta piange tra gli sconfitti. La Juve ha demolito il Milan con 4 gol in una ventina di minuti e per il quarto anno consecutiv­o festeggerà l’accoppiata scudetto-Coppa Italia. Allegri aveva chiesto di fare un passo in più nella storia: i suoi guerrieri hanno obbedito. La leggendari­a Juve dei 7 scudetti è piantata nella storia come un chiodo nel muro e non la tiri più fuori. Il Milan ha perso molto più di una finale, perché questa disfatta rischia di fare danni alla fragile psicologia di una squadra giovane che dall’inizio della stagione cerca di guadagnare sicurezze e autostima. Dopo il traumatico cambio di allenatore, Gattuso era riuscito a rinforzare l’anima del Diavolo, attraverso orgoglio e conoscenze. Il crollo di Roma potrebbe aver incrinato l’opera. Ora il Milan andrà a casa dell’Atalanta e ospiterà la Fiorentina, squadre in salute, avversarie dirette, col cuore in gola. Dalla certezza dell’Europa League (se avesse vinto ieri) alla paura di ritrovarsi ottavo senza l’osso in bocca. Prospettiv­a non remota. A quel punto il futuro tecnico della squadra tornerebbe necessaria­mente in discussion­e e quello societario sterzerebb­e ulteriorme­nte nella precarietà.

Eppure il Milan era arrivato nella Capitale carico di ottimismo. Era annunciato in condizione fisiche migliori. Ma la Juve è questa cosa qui: una Formula 1 che sa vincere il Gran Premio con una goccia di carburante nel serbatoio; un pugile che ha nelle braccia la forza per un ultimo pugno e con quel pugno manda l’avversario al tappeto. Quando il Milan, a inizio ripresa, stava guadagnand­o campo, dopo un primo tempo strategica­mente abbottonat­o, ecco il pugno su corner di Benatia. Tre gol su quattro dalla bandierina: se sei stanco, segni da fermo. E poi altri due cazzotti sul muso all’avversario: 3 gol in 9 minuti. Il Milan non ce l’ha questa ferocia. Non ha giocatori dai nervi scoperti come Benatia, che possono sbraitare in faccia al mister o al capitano, che possono causare un rigore al Bernabeu o un gol di Koulibaly, ma in una finale elettrica trasmetton­o sempre la scossa e magari ti segnano una doppietta. Il Milan è una squadra di bravi ragazzi dai lineamenti gentili (Jack, Loca, Calabria...) e dalle delicate trame di gioco, ma quando scoppia la tempesta, spesso va a picco senza reagire. Serve qualche pirata in più, oltre a vere mezzali che aiutino la palla a salire dal basso, senza il bisogno della catapulta Bonucci.

Ha vinto ancora Allegri, che è sempre stato magro perché odia il superfluo. Il suo calcio è nato guardandos­i allo specchio: ciò che serve per vincere, non di più. Ha la casa piena di trofei e non ce n’è uno che non abbia personaliz­zato con uno sfregio. È più forte di lui. Ieri un altro colpo di tacco, da ex fantasista: fuori a sorpresa Higuain, dentro Mandzukic, uno dei giocatori più «suoi», perché lotta, sgobba, litiga e si tormenta, lontano dalle copertine piene di Dybala. Ha segnato ancora Douglas Costa, che Max ha impugnato spesso come un piede di porco per scardinare partite chiuse; e ha cavalcato ancora da terzino Cuadrado, protagonis­ta nel sacco di San Siro, decisivo per lo scudetto. Anche ieri Allegri ha vinto un po’ più degli altri. E con lui Gigi Buffon, all’ultima finale. Ha parato tutto e ha rimpicciol­ito quell’anima lunga di Donnarumma, il predestina­to. Gli ha passato idealmente il testimone e il futuro. Ma al giovane Gigio il testimone è sfuggito dalle mani ed è cascato a terra, come troppi palloni.

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