La Gazzetta dello Sport

Maestro Tabarez e la rivoluzion­e: adesso si gioca

●Tanti senatori a casa e un Uruguay finalmente propositiv­o: l’ultima mossa di un leader coraggioso

- G.d.f.

Se è vero che le rivoluzion­i le fanno i capipopolo ma le preparano gli insegnanti, figuriamoc­i cosa può fare uno che è tutte e due le cose. Perché Oscar Washington Tabarez Maestro lo è stato davvero, per 10 anni, nelle scuole pubbliche del barrio del Cerro a Montevideo, poi un giorno sentì alla radio che al Peñarol cercavano tecnici per le giovanili e rinunciò a qualche soldo per inseguire un sogno. E anche adesso, quasi 40 anni dopo, ha rinunciato a qualcosa per fare la rivoluzion­e. Innanzitut­to, a starsene tranquillo: Tabarez ha 71 anni, allena la Celeste da 12 vincendo pure una Copa America, e convive da un po’ con la maledetta sindrome di Guillain-Barré, una neuropatia che lo costringe ad allenare in sedia a rotelle o con le stampelle. Insomma, avrebbe potuto mollare senza che nessuno gli dicesse mezza parola e invece è ancora sul ponte di comando. E poi, e la rivoluzion­e vera sta qui, ha rinunciato a tanti senatori: Lugano, Rios, Alvaro Pereira, Tata Gonzalez, leader e gente di randello. Al loro posto Vecino, Torreira, Bentancur, De Arrascaeta, Nandez: tosti resteranno tosti, da Godin in su ce l’hanno nel dna, ma si passerà comunque da un Uruguay pesante a uno pensante. Molto più portato alla costruzion­e e al fraseggio breve rispetto alla rottura e al wrestling di mediana, con la palla che ai due big lì davanti dovrebbe arrivare ben più raffinata rispetto ai lancioni che usavano prima. I quattro comandamen­ti del nuovo Uruguay del Maestro sono: possesso palla, mobilità, velocità e pazienza. L’altro è proprio lui, l’uomo che unisce come non mai il potentato più piccolo e sorprenden­te del pallone, che per amor di patria e gioco si fa beffe pure di un male bruttissim­o, un romantico che insegna il coraggio. La Celeste pende dalle sue labbra, e come dice lui «soñar no es un utopia».

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