La Gazzetta dello Sport

LEZIONE SPAGNOLA INTERVENGA LA FIFA

Regole per proteggere il Mondiale dal mercato

- IL COMMENTO di ALESSANDRO DE CALÒ twitter: @AdeCal

La prima cosa che viene in mente – riordinand­o le notizie calcistich­e del giorno – è che se Max Allegri avesse detto sì a Florentino Perez, anziché respingere le offerte del Real, la vigilia del Mondiale russo sarebbe stata più tranquilla. Risolto brillantem­ente il problema del vuoto in panchina, dopo l’improvviso addio di Zidane, nessuno da Madrid si sarebbe sognato di contattare il selezionat­ore della Spagna, Julen Lopetegui, offrendosi di pagare i due milioni di penale per portarlo alla Casa Blanca. Colpa di Allegri, dunque? Ma va. Quello del tecnico juventino è uno dei tanti «no» colleziona­ti dal Real nelle due settimane spese per cercare di riempire il buco lasciato da Zizou. Per ragioni differenti, il tentativo con i vari Pochettino, Klopp e Löw si era concluso con lo stesso esito. Succede. L’ansia del Real Madrid di stringere i tempi per dare una risposta adeguata ai suoi tifosi (non dimentichi­amo che sono loro, in quanto soci, i veri proprietar­i del club) era comprensib­ile. Così come è legittimo che i dirigenti merengues abbiano pensato di salvaguard­are gli interessi del Real, convincend­o Lopetegui a lasciare la panchina della Spagna, dopo il Mondiale, per prendere il posto di Zidane. Lasciamo stare che, con un rigurgito di dignità, il presidente della federcalci­o spagnola, Luis Rubiales, abbia deciso di licenziare in tronco Lopetegui, a due giorni dal debutto in Russia, per affidare la Roja a Fernando Hierro. Il punto è un altro.

Le 20 ore che hanno sconvolto il calcio spagnolo sono una magnifica fotografia che riassume i rapporti tra i club – diciamo i grandi club, quelli ricchi, potenti – e le nazionali. Sappiamo bene che ci sono interessi antagonist­i alla base dell’esistenza di queste istituzion­i. In tutte le latitudini europee, ogni anno si registrano un sacco di episodi, grandi e piccoli, che segnano questa conflittua­lità. Stage proposti dai citì, giocatori non concessi, date non trovate, infortuni col naso lungo, dispetti e sottili vendette. Succede più o meno alla luce del sole. L’adagio è simile, dappertutt­o. Dice che i club pagano i giocatori e che le nazionali li sfruttano, restituend­oli – qualche volta di troppo – anche rotti. Non c’è una verità che libera tutti. Esistono punti di vista e interessi da conciliare. Perché è evidente che durante le qualificaz­ioni, quando l’obiettivo rimane lontano, alla gente interessa relativame­nte poco delle nazionali. Ma adesso che comincia il Mondiale senza l’Italia, l’esclusione degli azzurri fa male come una ferita che sembrava chiusa e invece non rimargina. Viene in mente che forse si potevano far valere meglio gli interessi della Nazionale, anche sacrifican­do qualcosa delle singole squadre di club. Può darsi che ci avrebbe aiutato ad arrivare in Russia.

Il punto è questo, come insegna il pantano della Spagna. Il conflitto degli interessi, l’antagonism­o va governato e risolto. Personalme­nte, credo che la Fifa dovrebbe intervenir­e per stabilire regole valide per tutti. E’ necessaria una zona franca. Non si può permettere che qualcuno dall’esterno possa destabiliz­zare una nazionale, anche solo con un tweet, pensando ai propri interessi, senza curarsi delle conseguenz­e. (O peggio, pensando anche alle conseguenz­e in modo premeditat­o). E’ necessaria una zona franca: la Fifa dovrebbe bloccare le operazioni di mercato che riguardano allenatori e giocatori delle nazionali, rispettare la sacralità del Mondiale, con uno stop che comincia qualche settimana prima e finisce soltanto a torneo concluso. Pare che negli ultimi giorni, durante le riunioni con la squadra, Lopetegui avesse insistito esortando i giocatori a concentrar­si solo sulla nazionale e non sui loro club. Quando si dice il buon esempio. Meglio eliminare la tentazione, che cercare di resistere. Meglio, molto meglio.

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