LEZIONE SPAGNOLA INTERVENGA LA FIFA
Regole per proteggere il Mondiale dal mercato
La prima cosa che viene in mente – riordinando le notizie calcistiche del giorno – è che se Max Allegri avesse detto sì a Florentino Perez, anziché respingere le offerte del Real, la vigilia del Mondiale russo sarebbe stata più tranquilla. Risolto brillantemente il problema del vuoto in panchina, dopo l’improvviso addio di Zidane, nessuno da Madrid si sarebbe sognato di contattare il selezionatore della Spagna, Julen Lopetegui, offrendosi di pagare i due milioni di penale per portarlo alla Casa Blanca. Colpa di Allegri, dunque? Ma va. Quello del tecnico juventino è uno dei tanti «no» collezionati dal Real nelle due settimane spese per cercare di riempire il buco lasciato da Zizou. Per ragioni differenti, il tentativo con i vari Pochettino, Klopp e Löw si era concluso con lo stesso esito. Succede. L’ansia del Real Madrid di stringere i tempi per dare una risposta adeguata ai suoi tifosi (non dimentichiamo che sono loro, in quanto soci, i veri proprietari del club) era comprensibile. Così come è legittimo che i dirigenti merengues abbiano pensato di salvaguardare gli interessi del Real, convincendo Lopetegui a lasciare la panchina della Spagna, dopo il Mondiale, per prendere il posto di Zidane. Lasciamo stare che, con un rigurgito di dignità, il presidente della federcalcio spagnola, Luis Rubiales, abbia deciso di licenziare in tronco Lopetegui, a due giorni dal debutto in Russia, per affidare la Roja a Fernando Hierro. Il punto è un altro.
Le 20 ore che hanno sconvolto il calcio spagnolo sono una magnifica fotografia che riassume i rapporti tra i club – diciamo i grandi club, quelli ricchi, potenti – e le nazionali. Sappiamo bene che ci sono interessi antagonisti alla base dell’esistenza di queste istituzioni. In tutte le latitudini europee, ogni anno si registrano un sacco di episodi, grandi e piccoli, che segnano questa conflittualità. Stage proposti dai citì, giocatori non concessi, date non trovate, infortuni col naso lungo, dispetti e sottili vendette. Succede più o meno alla luce del sole. L’adagio è simile, dappertutto. Dice che i club pagano i giocatori e che le nazionali li sfruttano, restituendoli – qualche volta di troppo – anche rotti. Non c’è una verità che libera tutti. Esistono punti di vista e interessi da conciliare. Perché è evidente che durante le qualificazioni, quando l’obiettivo rimane lontano, alla gente interessa relativamente poco delle nazionali. Ma adesso che comincia il Mondiale senza l’Italia, l’esclusione degli azzurri fa male come una ferita che sembrava chiusa e invece non rimargina. Viene in mente che forse si potevano far valere meglio gli interessi della Nazionale, anche sacrificando qualcosa delle singole squadre di club. Può darsi che ci avrebbe aiutato ad arrivare in Russia.
Il punto è questo, come insegna il pantano della Spagna. Il conflitto degli interessi, l’antagonismo va governato e risolto. Personalmente, credo che la Fifa dovrebbe intervenire per stabilire regole valide per tutti. E’ necessaria una zona franca. Non si può permettere che qualcuno dall’esterno possa destabilizzare una nazionale, anche solo con un tweet, pensando ai propri interessi, senza curarsi delle conseguenze. (O peggio, pensando anche alle conseguenze in modo premeditato). E’ necessaria una zona franca: la Fifa dovrebbe bloccare le operazioni di mercato che riguardano allenatori e giocatori delle nazionali, rispettare la sacralità del Mondiale, con uno stop che comincia qualche settimana prima e finisce soltanto a torneo concluso. Pare che negli ultimi giorni, durante le riunioni con la squadra, Lopetegui avesse insistito esortando i giocatori a concentrarsi solo sulla nazionale e non sui loro club. Quando si dice il buon esempio. Meglio eliminare la tentazione, che cercare di resistere. Meglio, molto meglio.