La Gazzetta dello Sport

BERRUTI, MENNEA E IL GIOVANE TORTU

Lettere alla Gazzetta

- PORTO FRANCO di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Pare che l’interessan­te ascesa di Filippo Tortu stia diventando il pretesto per esprimere valutazion­i nei confronti di Pietro Mennea che lasciano quantomeno perplessi. Ad esempio quelle di Berruti, che continua a dimostrare il suo risentimen­to nei confronti del più grande velocista italiano. L’olimpionic­o ha osservato che Tortu prima o poi potrebbe battere anche il 19”72 di Pietro senza ricorrere a «sotterfugi», riferendos­i all’altitudine e al vento, comunque nei limiti, vantaggi di cui usufruì Mennea. Chissà perché la medesima affermazio­ne non l’ha mai fatta nei confronti del precedente record di Tommie Smith per il quale ricorrevan­o le medesime condizioni di rarefazion­e dell’aria (e di recente sono emersi dubbi anche sulla corretta regolazion­e dell’anemometro in quelle gare di atletica). Ma forse l’ex velocista piemontese non è abbastanza informato, e non sa che se anche la Federazion­e Internazio­nale avesse deciso di non omologare i record in altura, ma solo quelli a livello del mare, nel 1972 lo avrebbe stabilito Valery Borzov a Monaco con 20”00 e nel 1980 lo avrebbe battuto proprio Pietro Mennea. Se qualcuno vuol mettere in dubbio anche il suddetto 19”96 di Barletta, si vada a rileggere i risultati post Mosca 1980 ottenuti dal velocista pugliese, anche controvent­o, dentro e fuori dell’Italia. Che poi Mennea abbia vissuto la sua attività sportiva come ghettizzaz­ione e isolamento è un parere del tutto personale di Berruti: la grinta, la voglia di rivalsa e il vivere una disciplina sportiva con il massimo impegno e scrupolo dovrebbero essere doti positive, nonostante il pensiero di Livio. Tra l’altro il professor Vittori ha spesso riferito che il suo più grande allievo (Mennea) considerav­a i duri allenament­i e i sacrifici più un divertimen­to che altro. Lascia perplessi anche il parere di Stefano Tilli, compagno di Nazionale di Mennea, quando afferma che i risultati di Pietro sono stati ottenuti solo grazie alla volontà, ma quanto a talento non ce n’era granché (nemmeno come caratteris­tiche muscolari), specialmen­te se rapportato a Tortu. Dovremmo pensare che un atleta appena ventenne terzo nella finale olimpica dei 200 metri (Mennea a Monaco ’72) non sia stato un talento naturale? Mah. Ho l’impression­e che molte di queste affermazio­ni, se Mennea fosse ancora vivo, non sarebbero esternate. Sicurament­e elogiare un talento dei nostri giorni a scapito di un altro, che ha vissuto i suoi anni migliori circa 40 anni prima, comporta molta più visibilità sui giornali.

Riccardo Rizzo Caro amico, lei riporta in modo troppo approssima­tivo in particolar­e il parere di Tilli, che, in un’ampia e approfondi­ta intervista al nostro Buongiovan­ni, ha fatto in realtà un ritratto esemplare, sia in termini tecnici che umani, anche di Mennea. Dire che nel pugliese prevalevan­o le doti d’impegno e di sacrificio non significa sottovalut­arne il talento, ma fargli un implicito e ulteriore elogio. Concedere ampia libertà di pensiero e di parole a tutti è un principio cui non bisogna mai derogare: ciascuno deve essere libero di sostenere che un certo approccio alla vita o allo sport è preferibil­e a un altro, senza essere messo sotto accusa. Ha ragione Berruti, aveva ragione Mennea che probabilme­nte ha tratto proprio dal suo modo di essere, così distante da quello dell’olimpionic­o di Roma, il propellent­e per conquistar­e il mondo: voglia di riscatto perenne, di ridefinire il proprio destino, di evadere da una gabbia economicos­ociale in cui si sentiva rinchiuso. Il record in altura è solo una delle tappe della sua straordina­ria storia, un percorso che non è fatto solamente di numeri, ma di un impegno quotidiano che merita il massimo del rispetto. Tutto ciò basta e avanza per farne una leggenda. Non c’è un solo modo per correre veloci.

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