La Gazzetta dello Sport

IL CASO TORTU E I RISCHI DEL PAPÀ-COACH

Un rapporto che nello sport fa discutere

- NON SOLO CALCIO di FAUSTO NARDUCCI email: fnarducci @rcs.it twitter: @Ammapp1

«Father and son» canta Cat Stevens nel più celebre brano dedicato al conflitto padrefigli­o (che in realtà era nato per il Musical Revolussia ed èa dedicato a un ragazzo che voleva unirsi alla Rivoluzion­e russa del 1917). Un rapporto che chiarament­e esiste da quando è nata la famiglia, comunque la vogliamo intendere, e un conflitto intrinseco che è vecchio come l’uomo. Come ci insegna il bestseller di Andre Agassi Open, il più bel libro mai scritto sulla relazione padre-figlio in campo sportivo, avere un genitore, per uno sportivo, implica di per sè il rischio di «invadenza». Finora erano stati proprio i tennisti a mettere in campo le problemati­che della relazione: a partire dagli abusi fisici denunciati da Jelena Dokic l’elenco è lungo e comprende Jennifer Capriati come Mary Pierce ma anche le sorelle Williams e Camila Giorgi, quindi non sempre in negativo. Ma l’argomento è diventato di stretta attualità anche nell’atletica con l’esplosione del fenomeno Filippo Tortu, allenato da papà Salvino con cui vanno condivisi i meriti del 9”99 che ha riscritto la storia dei 100 metri.

Noi restiamo dell’idea che il quinto posto di Filippo a Berlino non vada considerat­o come un fallimento ma fallimenta­re è stato sicurament­e il bottino dell’atletica azzurra agli Europei, per cui non ci meraviglia­mo che nell’analisi della crisi sia stata messa in discussion­e anche la conflittua­lità del ruolo padre-allenatore nella famiglia «più veloce» d’Italia. Aveva cominciato Eddy Ottoz, bronzo olimpico di Città del Messico che si è sempre tenuto a debita distanza dai figli atleti, sostenendo che difficilme­nte il padre può esserne il miglior consiglier­e. Ma ancora più diretto è stato Stefano Tilli nell’opinione espressa sulla Gazzetta: «Secondo me i genitori finiscono per far prevalere l’affetto, rischiano di tutelare troppo il figlio e questo non va bene»». Ovviamente non si è fatta attendere la risposta risentita di papà Tortu: «Per fortuna Filippo è un cagnaccio e adesso è più motivato di prima». E a proprio beneficio Salvino ha citato alcuni campioni attuali che si giovano di un padre-allenatore: l’astista svedese Duplantis, i fratelli norvegesi Ingebrigts­en e quelli belgi Borlée e in qualche modo il fenomeno sudafrican­o Van Niekerk (anche se l’allenatric­e Anne Botha non è propriamen­te sua nonna). La verità, secondo noi, è che un padreallen­atore presenta conflittua­lità superiori a un semplice coach. Chi sa gestire lo sdoppiamen­to dei ruoli — e i Tortu ci sono sicurament­e riusciti — può sfruttare a proprio favore la familiarit­à ma bisogna continuare a esaminare i rischi durante la maturazion­e del figliocamp­ione.

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